Ilva: il governo intende ricorrere alla Consulta
© Amedeo Lomonaco, Radio Vaticana ●
Sempre più intricata la vicenda dell’Ilva di Taranto: il governo ha intenzione di fare ricorso alla Consulta per contestare i provvedimenti della magistratura che rischiano di portare alla chiusura degli impianti. E’ quanto ha dichiarato il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Antonio Catricalà, dopo la decisione del gip di Taranto, Patrizia Todisco, di autorizzare il risanamento degli impianti dell’area a caldo ma “senza prevedere alcuna facoltà d’uso a fini produttivi”. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
Il premier Mario Monti ha chiesto ai ministri competenti di recarsi a Taranto il prossimo 17 agosto e di riferire sulla situazione. Secondo diverse fonti, il presidente del Consiglio intende anche verificare con il servizio giuridico di Palazzo Chigi se vi siano spazi legali per un intervento del governo ed evitare la chiusura dello stabilimento. Il ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera, sottolinea che bisogna evitare la chiusura. Un epilogo, questo, che causerebbe danni irreparabili dal punto di vista economico, occupazionale e sociale. Per il ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, è a rischio il risanamento ambientale.
Intervista con Gianluca Budano
Il ministro della Giustizia, Paola Severino, intanto, ha chiesto l’acquisizione degli atti con i quali il Gip di Taranto ha confermato il sequestro degli stabilimenti dell’Ilva e revocato la nomina di Bruno Ferrante come custode e amministratore degli impianti dell’area a caldo. Si rischia dunque una contrapposizione sulla vicenda tra governo e magistratura, come sottolinea il presiedente regionale “Acli Puglia”, Gianluca Budano:
R. – Non solo una contrapposizione tra governo e magistratura, ma tra governo e istanze dei lavoratori, quindi anche le parti sociali, del sindacato, delle istituzioni locali … E’ come creare due blocchi tra diritto alla salute, alla salvaguardia dell’ambiente e diritti dei lavoratori. Ciò denota che la politica non ha per tempo affrontato tale questione; né si può pretendere, d’altro canto, che la magistratura non eserciti fino in fondo il proprio dovere.
Via d’uscita
D. – Qual è, a questo punto, la “via d’uscita”?
R. – La via d’uscita probabilmente c’è; non può essere oggetto di negoziazione l’attività della magistratura. Semmai, può essere oggetto di controllo. Contestualmente, la politica veda di trovare quei parametri che possano rendere compatibile un provvedimento diverso della magistratura rispetto alla salvaguardia dei posti di lavoro, ma anche di una bonifica dell’ambiente, degli impianti da realizzare velocemente visto che sono stati già stanziati 334 milioni di euro.
Scontro da non radicalizzare
D. – Quello che si deve evitare è di radicalizzare le posizioni …
R. – “Radicalizzare lo scontro significherebbe irrigidire le parti, significherebbe contestualmente spegnere gli impianti perché la magistratura, con l’ordinanza del Gip, è stata molto chiara. Spegnere gli impianti in un polo siderurgico di quelle dimensioni significa non riaccenderli più. Richiederebbe investimenti, da parte dell’azienda, che equivarrebbero a riprendere l’attività ex novo. Quindi, questo porterebbe al licenziamento di migliaia di lavoratori. Sono 12 mila più l’indotto. Il secondo danno della contrapposizione è tutto di carattere giuridico, politico e sociale”.
Contrapposizioni da stemperare
“Non si possono mettere in contrapposizione dei diritti fondamentali dei cittadini e questa contrapposizione non può svilire la vocazione industriale italiana. Bisogna infatti tener conto che l’impianto siderurgico dell’Ilva ha dato lavoro, pur con i suoi pregi e difetti e con le gravi responsabilità che probabilmente ha avuto la politica nell’assecondare questo sistema industriale, ma anche la stessa azienda che probabilmente non ha rispettato pienamente le leggi, altrimenti la magistratura non sarebbe intervenuta così pesantemente. Questo impianto ha reso l’Italia – non Taranto, non la Puglia, ma l’Italia – un territorio, una nazione leader nella produzione di acciaio”.
Interventi concertati
D. – Servono dunque interventi concertati …
R. – La scelta della concertazione non è un volersi bene a tutti i costi, ma un metodo quasi necessario per affrontare una problematica che rischia di mandare a carte quarantotto un intero sistema economico, un intero sistema sociale, un’intera vocazione industriale di tutta la nazione rispetto a questioni che possono costituire poi anche dei precedenti in altre realtà. Non dimentichiamo che ci sono anche situazioni similari in altre parti della Puglia, senza uscire dai confini regionali: il Petrolchimico di Brindisi, la centrale Enel di Brindisi-Sud e di Brindisi-Nord … Tutta una serie di impianti industriali, sia pur con proporzioni e dimensioni occupazionali diverse e più piccole, che hanno offerto e offrono situazioni di contrapposizione tra diritto alla salute e diritto all’ambiente. Non vorremmo che in nome della contrapposizione, della radicalizzazione si vanificasse sia il “sistema Ilva” sia il sistema industriale in altre aree della regione e del Paese, senza contemperare veramente gli interessi dei lavoratori insieme con l’interesse della salvaguardia dell’ambiente, della salute degli stessi lavoratori e dei cittadini che soffrono le emissioni o quelle “esternalità” negative degli impianti industriali.