Declassato per la prima volta il rating degli Stati Uniti
© Amedeo Lomonaco, Radio Vaticana ●
L’economia mondiale subisce una nuova bocciatura: l’agenzia di rating “Standard & Poor’s” ha declassato gli Stati Uniti che per la prima volta vedono ridurre il proprio livello di affidabilità. Il rating degli Usa è sceso dal livello AAA ad AA+.
Intervista con l’economista Riccardo Moro
La Cina, il più grande creditore degli Stati Uniti, e i Paesi emergenti chiedono a Washington un immediato intervento per arginare il debito strutturale. Ma come giudicare il declassamento del rating statunitense e quali ripercussioni può avere questa valutazione? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto all’economista Riccardo Moro, docente di Politiche dello sviluppo all’Università di Milano:
R. – Il giudizio di Standard & Poor’s non è completamente chiaro, perché se è costruito sulla base dell’affidabilità politica sembra poco pertinente. Se è costruito sulla base dei fondamentali, i fondamentali degli Stati Uniti in questo momento non è che possano far pensare effettivamente ad un aumento del rischio e a delle difficoltà nella capacità di pagare. Ci si chiede, francamente, quale sia la credibilità e l’affidabilità delle agenzie di rating. Noi abbiamo visto le agenzie di rating dare dei giudizi favorevolissimi a società che, come nel caso di ‘Lehman Brother’, sono crollate miseramente il giorno dopo. Questo eccesso di severità che abbiamo visto nei mesi scorsi sia nei confronti degli Stati Uniti sia nei confronti di molti Paesi europei, francamente, non sembra completamente giustificato, anche pensando al merito delle valutazioni che sono state fatte.
Nuovo equilibrio mondiale
D. – Intanto, però, proprio anche in riferimento a queste valutazioni, la Cina – il più grande creditore degli Stati Uniti – chiede a Washington di affrontare il problema del debito. Sta prendendo forma un nuovo e diverso equilibrio economico mondiale?
R. – Ci si sta chiedendo se le agenzie di rating si rendano conto che le valutazioni non sono mai asettiche, neanche politicamente. Quello che è successo, in queste ore, è effettivamente abbastanza preoccupante: la dichiarazione del governo cinese è una dichiarazione estremamente pesante. E’ vero però che la Cina fa in questo momento la voce grossa perché in realtà ha paura: se gli Stati Uniti vivessero una crisi economica molto pesante, verrebbero fortemente ridotti gli acquisti di prodotti cinesi e la prima a subire le conseguenze di un default americano sarebbe esattamente l’economia cinese. Per cui lo strozzamento dell’economia americana metterebbe certamente in difficoltà la Cina, ma di conseguenza metterebbe in difficoltà l’economia mondiale.
Giornata negativa per le Borse europee
D. – E sulla scia di Wall Street si è registrata una nuova giornata negativa anche per le borse europee. In Europa la spia è già sul rosso o ci sono ancora concreti spazi di manovra per una ripresa?
R. – Obiettivamente, se si guarda ai fondamentali, la spia non è sul rosso. Noi vediamo una crescita che non decolla. Non vediamo degli elementi di vulnerabilità pesantissimi. Nonostante questo, le borse vanno giù. Quando le borse vanno giù c’è qualcuno che compra, che esattamente confida su un processo di recupero, che avverrà probabilmente fra non molto, perché queste scommesse si fanno sul breve periodo, non sul lungo periodo. Tutto questo, però, crea un clima di sfiducia che indebolisce le possibilità di ripresa. Noi abbiamo bisogno di una domanda che aumenta, una domanda di beni reali e non una domanda di beni finanziari. Si deve incidere non sulle borse, ma sui mercati reali perché possa esserci più lavoro per tutti. Questo diventa difficile da realizzare, nel momento in cui si fanno continue iniezioni di sfiducia attraverso segnali negativi, come quelli di ‘Standard & Poor’ oppure delle borse che vanno giù.