Operatori umanitari: uomini e donne da emulare
Amedeo Lomonaco, il mio articolo su VaticanNews Si celebra oggi la Giornata mondiale umanitaria. In occasione di questa ricorrenza, Caritas internationalis chiede che vengano sostenute le comunità locali. Con noi Rosario Valastro, vicepresidente di Croce Rossa Italiana: gli operatori umanitari contribuiscono alla pace.
Ricordare coloro che ogni giorno aiutano milioni persone in tutto il mondo, affrontando pericoli e avversità, animati da un grande spirito di solidarietà. È questo l’obiettivo dell’odierna Giornata mondiale umanitaria scelta nel 2009 dall’Assemblea Generale dell’Onu in ricordo dell’anniversario del bombardamento della sede delle Nazioni Unite, nel 2003 a Baghdad, costato la vita a 22 persone. Si stima che, in tutto il mondo, una persona ogni 45 abbia bisogno di assistenza.
Sostenere le comunità locali
A causa della pandemia, il sistema umanitario internazionale è messo a dura prova come mai prima d’ora. Caritas internationalis richiama in particolare l’attenzione sul ruolo essenziale delle comunità locali nell’assicurare risposte immediate in ambito umanitario. E chiede che venga offerto un maggiore sostegno alle organizzazioni della società civile, specie quelle d’ispirazione religiosa come Caritas, che in tutto il mondo sostengono, aiutano e rafforzano le comunità locali. In questa giornata la comunità internazionale, sottolinea Aloysius John, segretario generale di Caritas internationalis, “ricorda la generosità di migliaia di operatori umanitari, dei poveri e soprattutto dei sopravvissuti ai disastri, che aspirano a vivere dignitosamente”. Caritas internationalis, riferisce l’agenzia Sir, esorta inoltre i governi e la comunità internazionale a destinare fondi, a livello locale, per il rafforzamento delle organizzazioni della società civile. Auspica poi lo stanziamento di fondi speciali per l’empowerment delle comunità locali e per consentire loro di intraprendere le azioni appropriate in caso di disastri.
Gli operatori umanitari non siano un bersaglio
La Giornata odierna è dunque un’occasione per celebrare gli operatori umanitari in servizio in tutto il mondo ma anche coloro che hanno perso la vita aiutando le persone più povere, emarginate e vulnerabili. La pandemia, ricorda Rosario Valastro, vicepresidente di Croce Rossa Italiana, pone ostacoli ancora più grandi ma non ferma la risposta degli operatori umanitari.
R. – Questo è un mese in cui ricordiamo anche gli operatori umanitari, che sono stati e sono sul campo in Italia e all’estero anche in condizioni complesse come la pandemia e l’emergenza sanitaria. Ed è bene ricordarli perché grazie al loro operato e all’operato delle nostre organizzazioni, si cerca di portare un aiuto a casa delle persone. E si cerca di limitare anche ulteriori vulnerabilità. Si tratta di persone, di donne e uomini, che contribuiscono alla pace. Contribuiscono evitando ulteriori vulnerabilità, malattie e sofferenze. E consentono a noi, indirettamente, di vivere una vita anche più serena.
Come vengono affrontate le emergenze umanitarie in questo tempo segnato dalla pandemia e da restrizioni sempre più forti imposte dai governi? Quali ostacoli aggiuntivi devono superare gli operatori umanitari?
R. – Gli ostacoli aggiuntivi possiamo classificarli probabilmente almeno in tre grosse macro-aree. La prima è quella dovuta allo stigma e alla discriminazione. L’emergenza sanitaria ha ampliato il numero di persone discriminate. Ci sono Paesi al mondo, per esempio la Nigeria, dove chi è ammalato di Covid-19 viene discriminato, come avveniva anche in passato con i malati di lebbra etc. Quindi c’è la difficoltà di accedere alle cure ed anche la difficoltà di riceverle o di farsi assistere dagli altri proprio perché si viene in qualche maniera messi all’angolo. Una seconda difficoltà è data, a volte, dalla incredulità di fasce della popolazione su quelle che sono le conquiste della scienza. Quindi c’è un po’ questa ritrosia ad adottare comportamenti che ci rendono maggiormente sicuri. Questo comporta un aumento, non solo del rischio, ma persino una difficoltà per gli operatori di agire in un clima tranquillo o addirittura sicuro. A volte, gli stessi operatori sono discriminati. Da eroi, come si diceva di loro nel mese di marzo, sono di nuovo diventati un bersaglio. Un’altra area di difficoltà è rappresentata dalle situazioni di conflitto. Il personale sanitario, il personale umanitario e le strutture sanitarie in generale non sono e non devono essere un bersaglio.
Guardiamo al mondo: quali sono le crisi umanitarie più gravi?
R. – Sono quelle di Paesi che vivono situazioni di conflitto. Ci sono alcuni Stati nel Medio Oriente, alcuni in Africa, alcuni Paesi con problematiche di natura ambientale a seguito dei cambiamenti climatici. Sono queste le zone più colpite nelle quali più forte è la presenza degli operatori umanitari. Il mio invito è quello di non chiamarli più eroi, ma apprezzare e difendere il loro operato. Ritengo che la cosa migliore sia difendere questa azione e magari copiarla. Non chiamarli eroi un giorno e poi, domani, disprezzare il loro operato.