Quarant’anni fa il terremoto in Irpinia
Amedeo Lomonaco, il mio articolo su VaticanNews Un sisma di magnitudo 6,9, del decimo grado della scala Mercalli, colpì il 23 novembre del 1980 la parte centro orientale della Campania, ma anche Basilicata e una zona della Puglia. Ripercorriamo quella pagina, ricordata all’Angelus da Papa Francesco, attraverso le parole pronunciate dall’allora capo di Stato italiano, Sandro Pertini, e da San Giovanni Paolo II.
È domenica 23 novembre del 1980 e sono ore 19.36. Una forte scossa della durata di 90 secondi colpisce un’area vasta oltre 17 mila chilometri dell’Italia meridionale. Le province più colpite sono quelle di Avellino, Salerno e Potenza. Alcuni dei paesi vicini all’epicentro, tra cui Lioni, Santomenna, Laviano e Muro Lucano, sono quasi rasi al suolo. La violenza del sisma, conosciuto con il nome di “terremoto dell’Irpinia”, si abbatte su piazze, strade, case e abbatte campanili, chiese, ospedali.
Oltre 3000 morti e ferite ancora aperte
Le ferite anche materiali inferte 40 anni fa dal sisma – come ha ricordato Papa Francesco all’Angelus – “non sono ancora del tutto rimarginate” e negli anni varie iniziative, “con gemellaggi tra i paesi terremotati e quelli del nord e del centro”, hanno accompagnato il “faticoso cammino della ricostruzione”. La solidarietà nata da quel disastro si unisce oggi al ricordo di quella drammatica pagina di dolore e sofferenza vissuta nel 1980. Il terremoto ha sorpreso tragicamente chi si trovava a casa di amici o parenti, nel bar della piazza, in chiesa per la Messa vespertina, in auto sulla via del ritorno verso casa. Il bilancio è pesantissimo: quasi 3 mila morti, più di 8 mila feriti, 77 mila case distrutte e 300 mila senzatetto. Complessivamente i comuni colpiti sono 687 (542 in Campania, 131 in Basilicata e 14 in Puglia). È la più grave catastrofe dei tempi moderni in tutto il Mezzogiorno d’Italia, dopo il sisma di Messina all’inizio del Novecento. L’allora presidente della Repubblica italiana, Sandro Pertini, si reca nei luoghi della tragedia. Dopo essere rientrato a Roma, in un discorso rivolto agli italiani, denuncia con forza il ritardo e le inadempienze dei soccorsi.
Italiane e italiani, sono tornato ieri sera dalle zone devastate dalla tremenda catastrofe sismica. Ebbene, a distanza di 48 ore, non erano ancora giunti in quei paesi gli aiuti necessari. È vero, io sono stato avvicinato dagli abitanti delle zone terremotate che mi hanno manifestato la loro disperazione e il loro dolore, ma anche la loro rabbia. Ho potuto constatare è che non vi sono stati i soccorsi immediati che avrebbero dovuto esserci. Ancora dalle macerie si levavano gemiti, grida di disperazione, i sepolti vivi. Qui non c’entra la politica, c’entra la solidarietà umana; tutti gli italiani e le italiane devono sentirsi mobilitati per andare in aiuto di questi loro fratelli colpiti da questa sciagura. Perché credetemi, il modo migliore di ricordare i morti è quello di pensare ai vivi.
La visita di Giovanni Paolo II nei luoghi colpiti dal sisma
Tra i simboli di quella tragedia, resta il crollo della chiesa di Balvano, piccolo comune in provincia di Potenza, dove morirono 77 persone, soprattutto bambini e ragazzi che, al momento del sisma, cantavano durante la Messa. In questo luogo devastato dal terremoto si recò anche Giovanni Paolo II. A Balvano Papa Wojtyła salì su un banco della scuola locale recuperato tra cumuli di macerie. Era il 25 novembre del 1980, 48 ore dopo la scossa. E su quel banco, diventato cattedra e altare, il Pontefice pronunciò queste parole nella piazza del paese:
Voi, carissimi, pregate con la vostra sofferenza. E spero, sono convinto, che voi pregate più di tanti altri che pregano, perché portate dinanzi al Signore questa vostra grandissima sofferenza, queste vostre vittime, specialmente le vittime rappresentate dai giovani, dai bambini, che sono morti nella chiesa. Vedo come soffre il vostro parroco: l’ho incontrato poco fa. Ecco tutto quanto posso dirvi in questo momento. Sono venuto per dirvi che vi sto vicino. Cristo ha detto all’apostolo Pietro: “Conferma i tuoi fratelli”. Non posso confermarvi con le mie forze umane, con le mie possibilità umane, ma posso confermarvi, nel senso che possiamo insieme trovare la forza di Gesù, nella nostra fede e nella nostra speranza, nella sua carità che è maggiore di tutte le sofferenze e anche della morte, perché anche con la morte questa sua carità ci apre la prospettiva della vita.
Durante quella visita nei luoghi colpiti dal sisma , Giovanni Paolo II visitò anche i feriti nell’ospedale di Potenza dove benedì “tutti i presenti, specialmente tutti i sofferenti, i ricoverati, ma anche tutti i professori, i medici, gli infermieri, le infermiere”:
Ho sentito un dovere, un impulso del cuore, della coscienza, di venire qui, di essere, almeno parzialmente, più vicino a voi sofferenti, a voi che avete sofferto e a voi che soffrite. Questa necessità interiore è certamente causata da una compassione, non da una sensazione. Da una compassione umana e cristiana. Voi terremotati, feriti, colpiti, senza casa – e con voi, i vostri morti – siete certamente circondati da una compassione umana e cristiana da parte di tutti i vostri connazionali, di tutta l’Italia e siete specialmente circondati della compassione della Chiesa. E io vengo, carissimi fratelli e sorelle, per mostrarvi il significato di questa vicinanza; per dirvi che siamo vicino a voi per darvi un segno di quella speranza, che per l’uomo deve essere l’altro uomo. Per l’uomo sofferente, l’uomo sano; per un ferito, un medico, un assistente, un infermiere; per un cristiano, un sacerdote. Così un uomo per un altro uomo. E quando soffrono tanti uomini ci vogliono tanti uomini, molti uomini, per essere accanto a quelli che soffrono.
L’appello di Papa Wojtyła
Il giorno dopo la visita nei luoghi colpiti dal terremoto, Giovanni Paolo II al termine dell’udienza generale del 26 novembre del 1980, lanciò poi un appello rivolto a tutti i cristiani per una piena solidarietà morale e materiale con le popolazioni terremotate dell’Italia meridionale. “In questo momento – furono le sue parole – occorrono soprattutto unità e solidarietà”.
Sono rimasto profondamente commosso, colpito spiritualmente da tutto quello che ho potuto vedere con i miei occhi. E certamente quello che ho potuto vedere non era che una parte: una visione parziale, ma significativa. Ho potuto vedere non solamente le case distrutte, ma soprattutto gli uomini, anziani e giovani, e ragazzi ricoverati, specialmente nell’ospedale san Carlo Nuovo di Potenza, e anche altrove: ricoverati in condizioni difficili. Ben sapete quanto numerosi sono i morti; ho potuto incontrare a Balvano il parroco della comunità in cui domenica scorsa incominciava la missione con la partecipazione dei ragazzi. Era il momento della prima, più forte scossa, e parecchi di questi giovani sono rimasti uccisi. Ho visto quel parroco, il cui dolore era ancora profondo due giorni dopo la sepoltura di quelle vittime. …Questa grande tragedia, in cui di nuovo soffrono le popolazioni dell’Italia meridionale, specialmente la Basilicata, impone una grande solidarietà. Solidarietà di tutti i cristiani e di tutti gli italiani e anche di tutti gli stranieri che possono aiutare.
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