Amazzonia: un popolo straziato dalla pandemia
Amedeo Lomonaco, il mio articolo su VaticanNews È passato esattamente un anno dalla pubblicazione dell’esortazione apostolica post-sinodale “Querida Amazonia” di Papa Francesco, frutto dell’Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per la Regione Panamazzonica. Intervista con padre Dario Bossi, superiore provinciale dei Missionari Comboniani del Brasile: la pandemia è una tempesta che ha travolto i popoli dell’Amazzonia.
Sono nuovi cammini di evangelizzazione e di cura dell’ambiente e dei poveri gli orizzonti indicati nel documento post sinodale “Querida Amazonia” in cui Papa Francesco auspica un nuovo slancio missionario e incoraggia il ruolo dei laici nelle comunità ecclesiali. Le parole con cui si apre l’esortazione apostolica ricordano il fragile e cruciale equilibrio di questo territorio. “L’amata Amazzonia si mostra di fronte al mondo con tutto il suo splendore, il suo dramma, il suo mistero”. Un anno dopo la presentazione dell’esortazione apostolica post-sinodale, le ferite dell’Amazzonia sono ancora più profonde.
Ad un passo dal punto di non ritorno
Alla deforestazione e alla perdita di biodiversità si aggiunge la piaga della pandemia. Padre Dario Bossi, superiore provinciale dei Missionari Comboniani del Brasile e membro della Rete ecclesiale panamazzonica (Repam), sottolinea, in particolare, che nell’ultimo anno gli incendi legati all’agro business per l’allevamento bovino e per la produzione di soia hanno inferto una profonda cicatrice a questa regione. “La difesa della vita e della casa comune – sottolinea padre Bossi a Vatican News – non è un optional nella fede cristiana. Attraversa la Bibbia, è rilanciata dal magistero di Papa Francesco ed è il banco di prova per la nostra Chiesa e per l’umanità. Siamo ad un passo dal punto di non ritorno per la savanizzazione, la desertificazione dell’Amazzonia”.
R. – Nei mesi di luglio e agosto dello scorso anno, gli incendi hanno provocato una cicatrice profonda: la più forte degli ultimi 10 anni. Si tratta di incendi provocati dall’ espansione dell’agrobusiness, specialmente per l’allevamento bovino e per la produzione di soia. In pratica, ci stiamo divorando l’Amazzonia nel piatto a pranzo e a cena con questi alti consumi di carne.
L’Amazzonia è dunque sempre più stretta nella morsa di pratiche, come la deforestazione, che rendono sempre più vulnerabile il territorio. In questo scenario si aggiunge la piaga della pandemia…
R. – La tempesta… A fine marzo ci ha invaso il Covid-19 e ha provocato, in Brasile, una crisi complessa. Una crisi sanitaria, ma anche economica e ambientale. In Amazzonia abbiamo avuto la prima ondata con quelle scene che hanno fatto il giro del mondo con le fosse a cielo aperto a Manaus. E ora la seconda ondata: nella città di Manaus mancano le bombole di ossigeno. In varie capitali e città dell’interno sono stipate molte persone nelle unità di terapia intensiva. Molta gente muore senza poter avere accesso all’ospedale, soffocata in casa. E c’è il nuovo ceppo del virus nato a Manaus, frutto di una convivenza troppo lunga e massificata con la pandemia, in una regione senza assistenza e senza politiche pubbliche. E poi ricordiamo anche leggi che facilitano l’estrazione di oro e dei minerali, i tagli agli enti pubblici che storicamente difendevano la foresta. Sulla pandemia, si deve anche sottolineare il clima di impotenza che vivono i popoli indigeni e le popolazioni tradizionali. E poi la perdita di tanti importanti leader spirituali e politici delle etnie indigene. Paragonano questa perdita a vere e proprie biblioteche incendiate. Ricordiamo, per questi popoli, il diritto prioritario, urgente e gratuito alla vaccinazione
Quali sono in questa situazione così difficile le azioni e le iniziative promosse dalla Chiesa?
R. – La pandemia ha congelato il piano delle diverse diocesi, che progettavano incontri di dialogo e concretizzazione del Sinodo con le comunità. Però la Chiesa ha intensificato molto il suo servizio samaritano alle vittime della pandemia. Ha organizzato una struttura efficiente di solidarietà, di accompagnamento spirituale e sta assumendo posizioni profetiche di denuncia e di rivendicazione dei diritti della gente.
Quale è l’eredità dell’esortazione apostolica post-sinodale sull’Amazzonia? E quali sono, nonostante le ombre, le prospettive e le speranze?
R. – Il documento “Querida Amazonia” presenta quattro sogni: il sogno sociale, il sogno ambientale, il sogno culturale e quello ecclesiale. I sogni vengono fatti di notte. Ma chi l’avrebbe detto che sarebbe arrivata una notte così fonda e dura subito dopo la pubblicazione del documento. È tempo di vigilare, di scrutare l’orizzonte per vedere da che parte nasce l’aurora. Io vedo segni di luce nell’organizzazione delle comunità, nell’auto vigilanza dei villaggi in Amazzonia per proteggersi dal virus. E anche nell’auto protezione da parte delle comunità per i leaders minacciati di morte nei conflitti per il controllo dei territori. Abbiamo lanciato la campagna “La vita appesa a un filo”. Siamo già al secondo anno di formazione di questa campagna. E poi ricordiamo l’organizzazione dei popoli indigeni che hanno lanciato “l’emergenza indigena” in tempo di pandemia. Un altro segno di luce è l’assemblea mondiale per l’Amazzonia tenutasi nel mese di luglio del 2020. Una ulteriore luce viene dalla Rete ecclesiale panamazzonica (Repam) che rilancia le sue attività: quest’anno avremo due scuole popolari sui diritti umani in Amazzonia. E, finalmente, la Conferenza ecclesiale dell’Amazzonia, una composizione plurale e uno spirito sinodale. Riunisce cardinali, vescovi, religiosi, religiose, laici e laiche. Con la speranza che si ascolti, di più, la voce delle donne e dei popoli indigeni per difendere l’Amazzonia.
Cosa dire oggi al popolo di Dio e a tutte le persone di buona volontà che hanno a cuore le sorti del creato e dell’Amazzonia?
R. – La difesa della vita e della casa comune non è un optional nella fede cristiana. Attraversa la Bibbia, è rilanciata dal magistero di Papa Francesco ed è il banco di prova per la nostra Chiesa e per l’umanità. Siamo ad un passo dal punto di non ritorno per la savanizzazione, la desertificazione dell’Amazzonia. La crisi climatica ci sta chiedendo decisioni forti e immediate. È essenziale, in questo momento, la pressione dell’opinione pubblica e anche, da parte nostra, un cambio radicale di stile di vita. I prossimi cinque anni saranno decisivi per il destino del pianeta, per la vita dei più poveri e anche per il futuro delle prossime generazioni. Nuove generazioni che ci chiederanno conto di quello che abbiamo fatto, o non abbiamo fatto. Il Sinodo per l’Amazzonia è arrivato per dare voce alla nostra sorella Madre Terra. Come dice il Papa, la Terra è oggi, forse, la creatura più povera e più minacciata. È tempo di prenderci cura gli uni degli altri, senza che nessuno resti fuori dall’abbraccio di Dio che ha il suo regno come in Cielo così in Terra.