Nykiel: la Confessione, una festa “in terra sacra” tra Dio e l’uomo
Amedeo Lomonaco, il mio articolo su VaticanNews – Il reggente della Penitenzieria Apostolica commenta le parole del Papa ai giovani slovacchi sul sacramento della Riconciliazione: la gioia non è solo quella di chi si è riconciliato, ma prima ancora di Dio che ha perdonato.
“Sono i peccati il centro della Confessione?”. A questa domanda, posta dal Papa durante l’incontro con i giovani dello scorso 14 settembre, è seguita una risposta corale. “No”, non sono i peccati il centro, hanno detto i giovani slovacchi radunati nello Stadio Lokomotiva a Košice. ”Qual è il centro, i peccati – ha chiesto ancora il Pontefice – o il Padre che perdona tutti i peccati?” Il centro, ha spiegato Francesco, è il Padre. “Non si va a confessarsi – ha affermato – come dei castigati che devono umiliarsi, ma come dei figli che corrono a ricevere l’abbraccio del Padre”. “Dio perdona sempre” e se il Signore è il protagonista “tutto diventa bello e confessarsi diventa il sacramento della gioia”.
Nykiel: il fedele riconciliato è testimone di misericordia
Commentando le parole pronunciate dal Pontefice sulla Confessione durante l’incontro in Slovacchia con i giovani, monsignor Krzysztof Nykiel, reggente della Penitenzieria Apostolica, sottolinea che ci si deve accostare al sacramento della Riconciliazione con “totale fiducia nella Divina misericordia”. “Il Signore ci conosce, ci scruta, ci abbraccia, ci guarda con gli occhi della sua misericordia”.
Torniamo al viaggio apostolico di Papa in Slovacchia, all’incontro con i giovani. “Se Dio – ha spiegato Francesco riferendosi alla Confessione – è il protagonista, tutto diventa bello e confessarsi diventa il Sacramento della gioia”. Questo è un passaggio molto significativo del discorso del Papa ai giovani: la Confessione è il sacramento della gioia…
Il Signore è sempre al primo posto nella Confessione. Il fedele si avvicina al confessionale con il cuore contrito per chiedere la misericordia a Dio. Riconciliato da Lui, prova nel cuore la gioia di essere stato perdonato, di aver sperimentato su di sé la tenerezza del suo amore misericordioso. Il Signore ci conosce, ci scruta, ci abbraccia, ci guarda con gli occhi della sua misericordia e, come spesso ci ricorda il Santo Padre, non si stanca mai di perdonarci. È con questa ottica di totale fiducia nella Divina misericordia che ci si accosta al sacramento della Riconciliazione: lì si può veramente incontrare Dio, aprirGli il proprio cuore, confessando le proprie mancanze, i propri peccati. A sua volta, sospinto dalla gioia sperimentata in tale incontro, il fedele appena riconciliato diventa testimone della misericordia con il prossimo.
Un’altra riflessione del Pontefice sulla Confessione riguarda i sacerdoti. “È importante – ha detto – che i preti siano misericordiosi. Mai curiosi, mai inquisitori”…
I sacerdoti devono essere soprattutto misericordiosi, proprio perché ministri e rappresentanti del Dio della misericordia. Il Santo Padre riprende quei confessori che eccedono nello scrupolo, talvolta indagando con domande troppo inopportune: l’atteggiamento del confessore dovrebbe essere proprio quello del Padre misericordioso del Vangelo di Luca, che accoglie il figlio che si era smarrito e che torna a casa. Questo non vuol dire certamente che il penitente debba omettere di confessare i propri peccati con precisione e contrizione. Ma di fronte a un penitente ben disposto il sacerdote, a imitazione del suo Signore e Maestro, non può che dimostrare accoglienza e tenerezza. E seppure c’è da fare qualche domanda, deve essere posta sempre con delicatezza e carità, perché come ha detto in una altra occasione lo stesso Papa Francesco, ogni penitente è “terra sacra”. E, pertanto, il confessionale non può essere luogo di tortura, luogo di interrogatorio per imporre una determinata pena. Ma è “luogo in cui la verità ci rende liberi per un incontro”. Il confessore, quindi, è “segno e strumento” di questo incontro con “Dio misericordioso”.
Papa Francesco, incontrando i giovani, ha anche parlato della vergogna di andare a confessarsi. La vergogna, ha detto, è un buon segno, “ma come ogni segno chiede di andare oltre”. Vergognarsi è un primo passo, ma non si deve “rimanere prigionieri della vergogna”…
Più volte il Santo Padre ha parlato della vergogna come grazia da chiedere per poter fare una buona confessione. La vergogna, in effetti, è espressione di umiltà, è segno del fatto che sentiamo di essere peccatori; manifesta la nostra piccolezza di fronte alla santità di Dio. Al contrario, potremmo dire che chi non prova vergogna non è veramente pentito. Non avverte, fino in fondo, il senso dei propri peccati, il bisogno di essere perdonato. Naturalmente, questa vergogna non deve neanche paralizzarci, impaurirci a tal punto da non farci più andare a confessare. Ogni penitente ricordi che, per quanto grande e grave possa essere quello che ha commesso, troverà in confessionale non un giudice severo, ma un Padre che perdona tutto e sempre e, nel suo infinito amore, offre ogni volta la possibilità di rialzarsi.
“Ogni volta che ci confessiamo – ha detto il Papa – in Cielo si fa festa. Che sia così anche in terra!”. Anche in queste parole emerge come quello della Confessione sia il sacramento della gioia, della piena gioia che unisce cielo e terra…
Quello che dice il Papa è molto bello. Ogni penitente che, mediante l’assoluzione sacramentale ha ricevuto il perdono dei peccati, potrebbe raccontare la gioia e la pace che ha sperimentato uscendo dal confessionale. Tanto il cuore di quell’uomo era precedentemente triste e afflitto dal peccato, tanto più dopo la confessione esso sarà ripieno della vera pace che solo il Signore risorto può dare. Per questo il Papa insiste con frequenza nel sottolineare la bellezza e la ricchezza di questo sacramento, che davvero può essere definito il sacramento della gioia. Una gioia, del resto, che non è solo quella del penitente riconciliato, ma anche e prima ancora di Dio che ha perdonato. È lui il primo a gioire, come il padre misericordioso del Vangelo di Luca che ordina ai servi di fare una grande festa per il ritorno del figlio, o come il pastore che, ritrovata la pecorella perduta, “si rallegra per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite” (Mt 18,13).