“Tu es Petrus”, come i Papi spiegano la missione del Vescovo di Roma

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Amedeo Lomonaco, il mio articolo su VaticanNews In occasione della festa della Cattedra di San Pietro, il 22 febbraio, riproponiamo le voci di alcuni Pontefici su questa ricorrenza che mette in evidenza la peculiare missione affidata da Gesù al principe degli apostoli.

“Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa”. Sulle parole rivolte da Gesù a Simone, chiamato Pietro, si innestano le fondamenta della Chiesa, sviluppatesi poi in una storia bimillenaria dove non mancano crepe e incrinature accanto alla solidità della Parola di Dio. In Pietro convergono, come suggerisce il nome dell’apostolo, la forza della roccia e la piccolezza di un semplice sasso. Nel vicario di Cristo si fondono in un unico ministero autorità e servizio. Il Pontefice è un uomo come Pietro: un piccolo sasso ed anche un pilastro nel cammino della Chiesa. Il Papa è Pietro, la roccia su cui Cristo ha fondato la Chiesa. Nei momenti di fragilità, la sua voce può rimanere avvolta nel silenzio. Può apparire flebile, ma resta sempre “una pietra viva” che dà forza e consola. Nel giorno in cui la Chiesa celebra la festa della Cattedra di San Pietro, lo sguardo è rivolto in particolare verso Papa Francesco, pietra e roccia che congiunge Roma al mondo cristiano.

Il simbolo del primato di Pietro

La Cathedra Sancti Petri Apostoli è ritenuta dalla tradizione il seggio episcopale di San Pietro. Davanti agli occhi si eleva innanzitutto un’immagine che diventa subito simbolo: quella dell’antico trono ligneo del primo Pontefice con placchette in avorio raffiguranti le fatiche di Ercole. Per custodire questo antico seggio Gian Lorenzo Bernini realizzò, nella Basilica Vaticana, un grandioso monumento in bronzo dorato, ultimato nel 1666 dopo dieci anni di lavori. La Cattedra è soprattutto un emblema: quello del primato petrino e del magistero del Papa. Questo seggio episcopale ricorda l’autorità conferita da Cristo all’apostolo Pietro. Non è un’immagine di potere ma di servizio. È il segno dell’autorità del Vescovo di Roma e del suo insegnamento evangelico che ogni Papa, come successore degli apostoli, è chiamato a custodire e a trasmettere.

Il seggio episcopale e le chiavi

Nel corso della storia, la liturgia ha celebrato la festa della Cattedra di San Pietro in due giorni diversi: il 18 gennaio (Roma) e il 22 febbraio (Antiochia). Nel 1960 Papa Giovanni XXIII ha unificato le due date abolendo quella del 18 gennaio. Al seggio episcopale di San Pietro è dedicato il discorso rivolto il 22 febbraio del 1962 da Papa Roncalli alle rappresentanze del Sacro Collegio, della curia romana e del Clero di Roma. Il Pontefice, parlando della Cattedra, si sofferma su un altro significativo simbolo: quello delle chiavi.

Oh! la Cattedra apostolica di San Pietro: quale espressione della grande famiglia umana, dei cui membri tutta la Chiesa si compone. Da qualunque località amiate scorgerla, da Gerusalemme, da Antiochia, da Roma, su questa Cattedra batte in pieno la luce, che si riverbera dalle parole rivolte da Gesù alla persona di Pietro, in una pagina fra le più belle e toccanti del Nuovo Testamento: Super hanc petram aedificabo Ecclesiam meam …: et tibi dabo claves regni caelorum. Che cosa significano queste chiavi, affidate personalmente a Simone di Giovanni, a Pietro, se non l’indicazione del governo universale della Chiesa affidato a lui? Da Gerusalemme ad Antiochia, e da questa città al centro dell’impero di Roma, sotto il soffio dello Spirito Santo, il cammino dell’Apostolo è aperto ormai verso il mondo: a lui il Signore ha affidato le pecore e gli agnelli: Pasce agnos, pasce oves. Egli è dunque principe e pastore universale, che guida il gregge nel nome stesso di Cristo. È a questo governo che i successori di Pietro chiameranno e si assoceranno, giusto in partem sollicitudinis, i fratelli Vescovi del mondo intero. Da questa cattedra viene consacrato per sempre l’episcopato della Chiesa una, santa, cattolica e apostolica.

Una catena di anelli

La Cattedra di San Pietro è anche la testimonianza di una successione, di una catena di trasmissione degli insegnamenti di Gesù dalle origini del cristianesimo ai giorni nostri. Lungo questa storia la Chiesa ha vissuto anche momenti drammatici. Papa Paolo VI, durante la visita nel 1966 ad Alatri, Fumone, Ferentino ed Anagni, si è soffermato in particolare sulla vita di Pietro Morrone, il santo eremita eletto Pontefice con il nome di Celestino V. Nel 1294 “è invitato ad ascendere sulla Cattedra di Pietro”. “Dopo aver esitato – ricorda Papa Montini – accetta per dovere, e fa ingresso in Aquila sopra un asinello”. Dopo pochi mesi, “comprende che egli è ingannato da quelli che lo circondano”. “Il Papa – spiega Paolo VI – come per dovere aveva accettato il Pontificato supremo, così, per dovere, vi rinuncia; non per viltà, come Dante scrisse – se le sue parole si riferiscono veramente a Celestino – ma per eroismo di virtù, per sentimento di dovere”. La Cattedra petrina, sottolinea Papa Montini, è come una “catena di anelli” che si snoda anche tra vicende drammatiche.

Un Papa è un successore di San Pietro. E allora la nostra mente corre indietro vertiginosamente e va fino alle origini della Chiesa, mille e tanti anni fa, quando Gesù Cristo chiamò Pietro e gli disse: “sopra te, sopra la tua persona, la tua missione che io ti affido, fonderò la mia Chiesa”. E qui sembra quasi che siamo costretti a meditare la successione, la catena che parte da quel primo anello e che arriva attraverso vicende che non sembrano propizie a continuare la coerenza e la fedeltà di questa catena. Le avventure – tali sono – di Papa Celestino ci lascerebbero credere che la Chiesa non poteva continuare, che era stremata di forze, che non aveva energia sufficiente. Non aveva più quasi motivi di continuare: erano 27 mesi che non c’era più il Papa. Ma ci si fa vedere proprio in queste vicende così drammatiche e così strane, che c’è un dito di Dio, che c’è una mano che guida. C’è un destino, una missione, una presenza di Dio che segue questo umile uomo che passa portando sopra di sé il grande carico e il grande titolo di vicario di Cristo.

Fonte di unità

La Cattedra di Pietro, fondamento della Chiesa, è fonte di unità che alimenta lo spirito di comunione con la Sede Apostolica e il generoso e fedele servizio alla Comunità ecclesiale. Nel 1998 Papa Giovanni Paolo II, durante la concelebrazione eucaristica con i nuovi cardinali, sottolinea che il principe degli apostoli è la “pietra sulla quale è edificato l’intero edificio spirituale della Chiesa”.

“Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa” (Mt 16, 18). Le parole di Cristo all’apostolo Pietro a Cesarea di Filippo illustrano bene gli elementi fondamentali dell’odierna celebrazione. Anzitutto, la festa della Cattedra di san Pietro costituisce una ricorrenza quanto mai significativa per questa Basilica, cuore del mondo cattolico e meta quotidiana di numerosi pellegrini. (…) “Tu sei Pietro!”. Il ministero, affidato a Pietro ed ai suoi successori, di essere solida roccia sulla quale poggia la Comunità ecclesiale, è garanzia dell’unità della Chiesa, è custodia della integrità del deposito della fede e fondamento della comunione di tutte le componenti del Popolo di Dio. La festa liturgica di oggi rappresenta, pertanto, un invito a riflettere sul “servizio petrino” del Vescovo di Roma nei confronti della Chiesa universale. Alla Cattedra di Pietro sono in modo speciale uniti i Cardinali, i quali costituiscono il “senato” della Chiesa, i primi collaboratori del Papa nel servizio pastorale universale.

Un servizio per l’intero Popolo di Dio

Le parole pronunciate da Papa Benedetto XVI all’Angelus del 22 febbraio 2009 sono proprio un invito a riflettere sul “servizio petrino” del Vescovo di Roma. Un ministero che deve essere accompagnato e sostenuto dalle preghiere. “Cari fratelli e sorelle – ha detto in quell’occasione Benedetto XVI – questa festa mi offre l’occasione per chiedervi di accompagnarmi con le vostre preghiere, perché possa compiere fedelmente l’alto compito che la Provvidenza divina mi ha affidato quale successore dell’apostolo Pietro”.

La Cattedra di Pietro simboleggia l’autorità del Vescovo di Roma, chiamato a svolgere un peculiare servizio nei confronti dell’intero Popolo di Dio. Subito dopo il martirio dei santi Pietro e Paolo, alla Chiesa di Roma venne infatti riconosciuto il ruolo primaziale in tutta la comunità cattolica, ruolo attestato già nel II secolo da sant’Ignazio di Antiochia (Ai Romani, Pref.: Funk, I, 252) e da sant’Ireneo di Lione (Contro le eresie III, 3, 2-3). Questo singolare e specifico ministero del Vescovo di Roma è stato ribadito dal Concilio Vaticano II. “Nella comunione ecclesiastica, – leggiamo nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa – vi sono legittimamente delle Chiese particolari, che godono di proprie tradizioni, rimanendo integro il primato della Cattedra di Pietro, la quale presiede alla comunione universale della carità (cfr S. Ign. Ant., Ad Rom., Pref.), tutela le varietà legittime, e insieme veglia affinché ciò che è particolare, non solo non nuoccia all’unità, ma piuttosto la serva” (Lumen gentium, 13).

Collaboratori di Dio

In questo Anno Santo della Speranza riecheggiano infine le parole pronunciate da Papa Francesco il 22 febbraio del 2016 durante il Giubileo straordinario della Misericordia. Rivolgendosi alla Curia romana il Pontefice in quell’occasione aveva affermato: “Siamo chiamati ad essere i collaboratori di Dio in un’impresa così fondamentale e unica come quella di testimoniare con la nostra esistenza la forza della grazia che trasforma e la potenza dello Spirito che rinnova”.

La festa liturgica della Cattedra di san Pietro ci vede raccolti per celebrare il Giubileo della Misericordia come comunità di servizio della Curia Romana, del Governatorato e delle Istituzioni collegate con la Santa Sede. Abbiamo attraversato la Porta Santa e siamo giunti alla tomba dell’Apostolo Pietro per fare la nostra professione di fede; e oggi la Parola di Dio illumina in modo speciale i nostri gesti. In questo momento, ad ognuno di noi il Signore Gesù ripete la sua domanda: «Voi, chi dite che io sia?» (Mt 16,15). Una domanda chiara e diretta, di fronte alla quale non è possibile sfuggire o rimanere neutrali, né rimandare la risposta o delegarla a qualcun altro. Ma in essa non c’è nulla di inquisitorio, anzi, è piena di amore! L’amore del nostro unico Maestro, che oggi ci chiama a rinnovare la fede in Lui, riconoscendolo quale Figlio di Dio e Signore della nostra vita. E il primo chiamato a rinnovare la sua professione di fede è il Successore di Pietro, che porta con sé la responsabilità di confermare i fratelli (cfr Lc 22,32).

In questo giorno in cui si celebra la festa della Cattedra di San Pietro e in questo tempo del Giubileo della Speranza risuonano le parole di Papa Francesco: il Pontefice ha la “responsabilità di confermare i fratelli”. E noi fratelli e sorelle siamo chiamati, ancor di più in questi giorni, a pregare per il Papa. Ad ascoltare le parole con cui solitamente Francesco conclude l’Angelus: “Per favore non dimenticatevi di pregare per me”.

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