Crisi in Libia, intervista con mons. Martinelli
© Amedeo Lomonaco, Radio Vaticana ●
In Libia si continua a combattere: almeno 15 insorti sono morti a causa di un raid aereo della coalizione alla periferia di Brega. Il governo libico ha anche respinto una proposta di cessate il fuoco. Ancora aperto il dibattito sull’eventualità di fornire armi ai ribelli. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
I combattimenti proseguono in varie zone del Paese. Il ministro della Difesa britannico non esclude che, nel rispetto della risoluzione dell’Onu per la protezione dei civili, si possa decidere di fornire armi agli insorti. Al momento è ancora lontana l’ipotesi di una tregua imminente. Il governo libico ha respinto le condizioni avanzate dagli insorti per un cessate il fuoco e le truppe governative non si ritireranno dalle città libiche, come richiesto dall’opposizione. Le forze ribelli, che hanno dichiarato di aver riconquistato la città di Brega, terminal petrolifero a sudest di Bengasi, hanno anche reso noto che almeno 15 loro uomini sono rimasti uccisi in seguito ad un raid sferrato dalla coalizione internazionale.
Via libera dell’Ue a missione umanitaria
Fonti dei ribelli affermano che miliziani governativi si sono infiltrati tra gli insorti e hanno sparato colpi in aria. A quel punto, gli aerei sotto il comando della Nato, hanno bombardato l’area. L’Unione Europea, intanto, ha dato il via libera alla missione militare umanitaria. Lo scopo della missione “Eufor”, che avrà Roma come quartier generale, è di contribuire “alla sicurezza dei movimenti e all’evacuazione delle persone sfollate e di sostenere le agenzie umanitarie nelle loro attività”.
Intervista con mons. Martinelli
E sulla situazione nella capitale libica e nel Paese si è soffermato al microfono di Amedeo Lomonaco, il vicario apostolico di Tripoli mons. Giovanni Innocenzo Martinelli:
R. – Oggi la situazione è abbastanza calma, questa notte non abbiamo sentito le bombe. Ieri ci sono state vittime civili a Sirte, con un bilancio di otto morti tra cui donne e bambini. C’è una stanchezza nella popolazione, che deve fare la fila per prendere la benzina, il pane. Tante famiglie sono scappate proprio a causa della guerra. In questi giorni ci sono stati almeno una cinquantina di aborti. Tante donne, purtroppo, hanno perso il loro bimbo perché, inevitabilmente, il trauma che provoca la bomba può portare anche alla morte del feto nel grembo della mamma. E’ quindi una situazione del tutto impressionante, però il segno concreto di una riconciliazione sembra timidamente affacciarsi. La tregua sarebbe la cosa più logica per capire e per riflettere.
Possibili interlocutori
D. – Quali possono essere gli interlocutori più adeguati in questa fase così difficile?
R. – Le Nazioni Unite potrebbero avere una parte importante, ma credo ancora che l’Unione Africana potrebbe giocare un ruolo decisivo. Più che l’Europa, l’Unione Africana ha un certo ascendente e la Libia ha dei legami profondi con diversi leader dell’Africa.
Speranze di riconciliazione
D. – Quali speranze può avere oggi la Libia per arrivare ad una vera riconciliazione?
R. – Nessuno vuole la divisione della Libia, né da una parte né dall’altra. Occorre però che veramente una parte e l’altra possano ascoltarsi.
Passi indietro
D. – E’ possibile che, ad un certo punto, Gheddafi decida di fare un passo indietro, proprio per il bene della Libia?
R. – Tutto è possibile. Io non sono d’accordo con l’uso della forza e della violenza, perché allora diventa veramente impossibile fare quel passo. L’importante è che ci sia questa forma di incontro amichevole che possa, in qualche modo, far capire la necessità, l’urgenza di fare un passo anche di questo tipo.
Al primo posto il bene della popolazione libica
D. – Anche perché, a quel punto, al primo posto ci sarebbe il bene della Libia e dei libici…
R. – E’ chiaro, perché poi tutto deve essere discusso. Ad esempio si dovrà vedere come impostare il governo. Non si può lasciare un Paese senza una governabilità, si deve avere almeno qualcuno che possa portare avanti questa situazione. Deve esserci, forse, un periodo di transizione.
Transizione
D. – In questo scenario ipotetico di eventuale transizione ci sarebbero, già oggi, delle forze pronte per prendere questo potere?
R. – Questo è difficile dirlo. Per cui, è veramente urgente ed importante discutere e affidarsi al dialogo. In questo momento credo soprattutto nella forza della preghiera. La preghiera e questa forte solidarietà con un popolo che crede. I libici e i musulmani pregano, sono uomini di buona volontà che non fanno della preghiera uno strumento di violenza. C’è tanta gente che prega e lo fa sinceramente.