Economia: l’Islanda non cede alle pressioni internazionali

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© Amedeo Lomonaco, Radio Vaticana ●

L’Islanda negli anni scorsi ha visto fallire le sue tre principali banche. Di fronte alla conseguente proposta di salvataggio avanzata dal governo di Reykjavík, che avrebbe comportato per ogni islandese la spesa di 100 euro al mese per 15 anni, la popolazione dell’isola ha deciso con un referendum, tenutosi nel marzo del 2010, che il debito non sarebbe stato pagato dai cittadini.

Intervista con il prof. Riccardo Moro

E’ stato anche avviato un processo di democrazia diretta che ha portato alla redazione di una nuova Costituzione. Le banche sono state nazionalizzate e l’Islanda si sta riprendendo dai colpi inferti dalla crisi. Sulle differenze tra il “caso islandese” e l’attuale situazione italiana, Amedeo Lomonaco ha intervistato l’economista Riccardo Moro, già direttore della Fondazione Giustizia e solidarietà della Cei:

R. – Le differenze sono abissali. E’ però interessante riflettere su un punto di analogia, ossia: come si esce dalla situazione di crisi? Da un punto di vista strutturale, le differenze riguardano il fatto che la pesante situazione dell’Islanda consisteva nella condizione delle sue principali banche, che si trovavano sull’orlo della bancarotta. Avevano un debito enorme e soprattutto i loro titoli erano ormai valutati come “carta straccia”, “spazzatura”, almeno quelli che sono stati scoperti con la crisi finanziaria del 2008. Questi titoli mettevano il Paese in condizione di non poter operare. Nel caso italiano, invece, il debito è dello Stato: si riducono le risorse disponibili per poter fare qualunque tipo d’investimento per poter incidere sul futuro. L’elemento comune è la crisi.

Reykjavik
Preoccupazione per il futuro

Questa ha impattato sul piano finanziario ed economico, cioè il lavoro e la disoccupazione, e quindi ha avuto anche un impatto sul piano politico e sociale. Entrambe le comunità, quella islandese e quella italiana, hanno condiviso una forte preoccupazione per il futuro. Di fronte a questa forte preoccupazione si è diffuso un convincimento: “Il comportamento del governo non si è rivelato adeguato”.

Islanda, un Paese maturo

Di conseguenza, in Islanda è maturata una forte voglia di cambiamento. Di fronte ad una situazione di crisi e di estrema preoccupazione per il futuro, si è detto di non fare due o tre riforme e aspettarne gli esiti, ma ridefinire la modalità attraverso la quale si è in relazione. Inoltre, si è detto di riscrivere insieme la Costituzione, perché si tratta di una cosa importante ed il futuro lo si costruisce sulla base delle regole di convivenza che ci diamo, in base alla relazione reciproca che costruiamo. Questo lo facciamo riscrivendo insieme la Costituzione.

Costituzione modificata grazie a Internet

D. – Ed una delle grandi novità è che la Costituzione è stata abbozzata, principalmente, su Internet. Chiunque poteva seguire i progressi della “Magna Carta” in streaming, online…

R. – E’ nata, in Islanda, un’esperienza straordinaria di partecipazione popolare attraverso Internet. Poi, evidentemente, ci sono state delle difficoltà, ma questo processo sta ora per terminare ed è un iter di estremo interesse. In Italia, la fatica è quella che vediamo quotidianamente: una politica che, in questo momento, non sembra capace di fare uno scatto di qualità, un salto in avanti, di rappresentare quell’anelito di cambiamento che la comunità sembra desiderare. D’altra parte, la fatica è anche della comunità. Non è che la colpa è sempre di chi fa politica: sono anche i cittadini che dovrebbero cercare modalità, strumenti ed anche un personale impegno partecipativo perché la politica possa essere arricchita.

Rispettata la volontà del popolo

D. – Quello che colpisce – e forse è un po’ la “morale” di questa storia islandese – è che, alla fine, è stata la volontà del popolo sovrano ad aver determinato le sorti di una nazione. Una nazione che oggi sta superando la crisi economica. Ma questa volontà del popolo può essere, in futuro, la via d’uscita dalla crisi, anche per l’Italia?

R. – Per certi aspetti non può che essere così. Il problema è trovare gli strumenti. In Islanda è obiettivamente più facile, perché la comunità è molto piccola. In Italia è un po’ più difficile riuscire a mettere in relazione tra loro 60 milioni di persone. Una certa difficoltà proviene sicuramente anche dagli strumenti della politica, in particolar modo dalla legge elettorale, che impedisce un’autentica partecipazione dei cittadini. Abbiamo bisogno di sperimentare degli spazi un po’ più “freschi” di partecipazione.

Democrazie a partecipazione in rete

D. – E questo “spazio fresco” di partecipazione può essere anche Internet, come è stato sperimentato in Islanda?

R. – Negli Stati Uniti, ad esempio, che sono una comunità molto più grande rispetto a quella islandese ma anche rispetto a quella italiana, l’elemento di novità – dato da Obama durante la sua campagna elettorale – è stato proprio l’uso di Internet come spazio partecipativo. A mio avviso Internet, in questo momento, costituisce uno spazio tutt’ora inesplorato di possibilità. La partecipazione è difficile, tanto più in una società complessa costituita da molte persone. Internet è però un’opportunità di cui, probabilmente, non usufruiamo appieno, almeno da questo punto di vista. 

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