Francesco: la sfida per l’Iraq e per il mondo è la fraternità
Amedeo Lomonaco, il mio articolo su VaticanNews Sono immagini e parole legate al 33.mo viaggio apostolico il fulcro dell’udienza generale. “Ho sentito forte – ha detto il Pontefice – il senso penitenziale di questo pellegrinaggio”. “E nello stesso tempo ho visto intorno a me la gioia di accogliere il messaggero di Cristo”.
Dalla Biblioteca del Palazzo Apostolico, lo sguardo del Papa all’udienza generale è rivolto all’Iraq, Paese che ha tanto desiderato abbracciare e ha visitato dal 5 all’8 marzo. Le sue parole sembrano accompagnate dai volti e dalle speranze delle persone che ha incontrato a Najaf, nella Piana di Ur, ad Erbil, a Mosul, a Qaraqosh e a Baghdad.
Nei giorni scorsi il Signore mi ha concesso di visitare l’Iraq, realizzando un progetto di San Giovanni Paolo II. Mai un Papa era stato nella terra di Abramo; la Provvidenza ha voluto che ciò accadesse ora, come segno di speranza dopo anni di guerra e terrorismo e durante una dura pandemia.
Francesco accompagna il ricordo di quel viaggio apostolico con parole di gratitudine che, a partire dal Cielo, si uniscono ai molteplici tasselli del mosaico iracheno:
Dopo questa Visita, il mio animo è colmo di gratitudine. Gratitudine a Dio e a tutti coloro che l’hanno resa possibile: al Presidente della Repubblica e al Governo dell’Iraq; ai Patriarchi e ai Vescovi del Paese, insieme a tutti i ministri e i fedeli delle rispettive Chiese; alle Autorità religiose, a partire dal Grande Ayatollah Al-Sistani, con il quale ho avuto un incontro indimenticabile nella sua residenza a Najaf.
Testimoni di orrori e di speranza
Quella irachena, aggiunge il Pontefice, è una Chiesa martire in una regione del mondo dove si vedono “ferite ancora aperte” e si ascoltano testimoni di pagine drammatiche:
Ho sentito forte il senso penitenziale di questo pellegrinaggio: non potevo avvicinarmi a quel popolo martoriato, a quella Chiesa martire, senza prendere su di me, a nome della Chiesa Cattolica, la croce che loro portano da anni; una croce grande, come quella posta all’entrata di Qaraqosh. L’ho sentito in modo particolare vedendo le ferite ancora aperte delle distruzioni, e più ancora incontrando e ascoltando i testimoni sopravvissuti alle violenze, alle persecuzioni, all’esilio…
Ma anche gravi tormenti e profonde sofferenze, ricorda il Papa, non possono prevalere su parole di vita, su testimonianze di autentica speranza:
E nello stesso tempo ho visto intorno a me la gioia di accogliere il messaggero di Cristo; ho visto la speranza di aprirsi a un orizzonte di pace e di fraternità, riassunto nelle parole di Gesù che erano il motto della Visita: «Voi siete tutti fratelli» (Mt 23,8). Ho riscontrato questa speranza nel discorso del Presidente della Repubblica, l’ho ritrovata in tanti saluti e testimonianze, nei canti e nei gesti della gente. L’ho letta sui volti luminosi dei giovani e negli occhi vivaci degli anziani.
Fratelli sotto lo stesso cielo
“La gente aspettava il Papa da cinque ore, in piedi”. “Nei loro occhi c’era la speranza”. Francesco ricorda questo ed altri momenti del viaggio e sottolinea che la storia dell’Iraq, come quella di molti altri Paesi scossi da conflitti, mostra che la risposta da dare alla tragedia della guerra è la via della fraternità.
Il popolo iracheno ha diritto a vivere in pace, ha diritto a ritrovare la dignità che gli appartiene. Le sue radici religiose e culturali sono millenarie: la Mesopotamia è culla di civiltà; Baghdad è stata nella storia una città di primaria importanza, che ha ospitato per secoli la biblioteca più ricca del mondo. E che cosa l’ha distrutta? La guerra. Sempre la guerra è il mostro che, col mutare delle epoche, si trasforma e continua a divorare l’umanità. Ma la risposta alla guerra non è un’altra guerra, la risposta alle armi non sono altre armi. E io mi sono domandato: chi vendeva le armi ai terroristi? Chi vende oggi le armi ai terroristi, che stanno facendo stragi in altre parti, pensiamo all’Africa per esempio? È una domanda a cui io vorrei che qualcuno rispondesse. La risposta non è la guerra ma la risposta è la fraternità. Questa è la sfida per l’Iraq, ma non solo: è la sfida per tante regioni di conflitto e, in definitiva, è la sfida per il mondo intero: la fraternità.
Saremo capaci noi di promuovere la fraternità o continueremo con la logica iniziata da Caino: la guerra? Dopo aver posto questa domanda, il Papa continua a sfogliare, come in una sequenza, le immagini del viaggio in Iraq. E torna nella Piana di Ur, la terra di Abramo, dove è risuonata la preghiera dì cristiani e musulmani con rappresentanti di altre religioni.
Abramo è padre nella fede perché ascoltò la voce di Dio che gli prometteva una discendenza, lasciò tutto e partì. Dio è fedele alle sue promesse e ancora oggi guida i nostri passi di pace, guida i passi di chi cammina in Terra con lo sguardo rivolto al Cielo. E a Ur, stando insieme sotto quel cielo luminoso, lo stesso cielo nel quale il nostro padre Abramo vide noi, sua discendenza, ci è sembrata risuonare ancora nei cuori quella frase: Voi siete tutti fratelli.
Sulle orme dei martiri
Un’altra istantanea del viaggio scattata da Francesco si lega all’incontro ecclesiale nella Cattedrale Siro-Cattolica di Baghdad “dove nel 2010 furono uccise quarantotto persone, tra cui due sacerdoti, durante la celebrazione della Messa”:
La Chiesa in Iraq è una Chiesa martire e in quel tempio, che porta inscritto nella pietra il ricordo di quei martiri, è risuonata la gioia dell’incontro: il mio stupore di essere in mezzo a loro si fondeva con la loro gioia di avere il Papa con sé.
Francesco non smette di ricordare le terre sconvolte dall’odio fondamentalista che ha costretto molte persone a lasciare case, villaggi, progetti. Ma non la speranza di tornare:
Un messaggio di fraternità abbiamo lanciato da Mosul e da Qaraqosh, sul fiume Tigri, presso le rovine dell’antica Ninive. L’occupazione dell’Isis ha causato la fuga di migliaia e migliaia di abitanti, tra cui molti cristiani di diverse confessioni e altre minoranze perseguitate, specialmente gli yazidi. È stata rovinata l’antica identità di queste città. Adesso si sta cercando faticosamente di ricostruire; i musulmani invitano i cristiani a ritornare, e insieme restaurano chiese e moschee. E continuiamo, per favore, a pregare per questi nostri fratelli e sorelle tanto provati, perché abbiano la forza di ricominciare. E pensando ai tanti iracheni emigrati vorrei dire loro: avete lasciato tutto, come Abramo; come lui, custodite la fede e la speranza, e siate tessitori di amicizia e di fratellanza là dove siete e se potete tornate.
Pregare per l’Iraq e per il Medio Oriente
Un messaggio di fraternità, sottolinea il Papa continuando a far scorrere il nastro del viaggio apostolico in Iraq, “è venuto dalle due celebrazioni eucaristiche”:
Quella di Baghdad, in rito caldeo, e quella di Erbil, città dove sono stato ricevuto dal Presidente della regione e dal suo Primo Ministro, dalle Autorità e dal popolo. La speranza di Abramo e della sua discendenza si è realizzata nel mistero che abbiamo celebrato, in Gesù, il Figlio che Dio Padre non ha risparmiato, ma ha donato per la salvezza di tutti: Lui, con la sua morte e risurrezione, ci ha aperto il passaggio alla terra promessa, alla vita nuova dove le lacrime sono asciugate, le ferite sanate, i fratelli riconciliati.
Il Pontefice invita inoltre a pregare per l’Iraq, dove un simbolo di resilienza e di futuro continua a portare frutto, nonostante tutto:
Cari fratelli e sorelle, lodiamo Dio per questa storica Visita e continuiamo a pregare per quella Terra e per il Medio Oriente. In Iraq, nonostante il fragore della distruzione e delle armi, le palme, simbolo del Paese e della sua speranza, hanno continuato a crescere e portare frutto. Così è per la fraternità: non fa rumore, ma è fruttuosa e ci fa crescere. Dio, che è pace, conceda un avvenire di fraternità all’Iraq, al Medio Oriente e al mondo intero!
Dopo la catechesi, salutando i fedeli di lingua tedesca, Papa Francesco ha esortato infine a pregare per i fratelli e le sorelle “nel Medio Oriente, tanto provati, affinché abbiano la forza di ricostruire con fratellanza la loro società”. “Il Signore ci faccia messaggeri della sua pace”.