Territori: nuovo governo ancora da formare

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© Amedeo Lomonaco, Radio Vaticana ●

Nei Territori palestinesi proseguono gli scontri tra militanti di Hamas e sostenitori di Al Fatah: due ufficiali di polizia sono rimasti feriti, questa mattina, per un imboscata tesa da estremisti dell’organizzazione radicale. Sul versante politico, sembrano profilarsi negoziati indiretti di Hamas con Israele anche grazie alla proposta di una mediazione da parte della Turchia e la collaborazione del gruppo fondamentalista con tutte le componenti della società palestinese. Un leader di Hamas in esilio ha detto che il gruppo radicale è pronto a dialogare anche con Stati Uniti e Unione Europea. Ma è veramente possibile un esecutivo formato da ministri del movimento integralista islamico e da esponenti moderati del partito di Al Fatah? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto a Marcella Emiliani, docente di relazioni internazionali del Medio Oriente all’Università di Bologna:

 

R. – Bisogna che il problema venga risolto all’interno di Al Fatah dove, attualmente, c’è una grossa spaccatura. Parte dell’ala giovanile di Al Fatah, quella vicina a Barghuti, sarebbe anche disponibile ad entrare in un esecutivo con Hamas. Non è così, invece, per la vecchia guardia dell’OLP. Il problema che si sta prefigiurando, quindi, è quello di un esecutivo tecnico. Ma a questo punto, chiunque accetti di far parte del governo, sa di essere stretto tra incudine e martello. Nessuna delle due formazioni è disponibile, infatti, a fare un passo indietro. Al Fatah non vuol perdere il potere che ha accumulato fino ad oggi, Hamas intende esercitarlo.

Il rischio della polarizzazione

D. – Proprio le divergenze tra estremisti di Hamas e moderati di Al Fatah possono sfociare in una drammatica polarizzazione nella società palestinese?

R. – Era già sfociata a dire la verità. Questa seconda Intifada è stata da molti definita anche un’“Intrafada”, cioè una sorta di guerra civile strisciante all’interno degli stessi palestinesi. A questa spaccatura si è arrivati non solo per questioni ideologiche: i maggiori centri dell’autonomia nazionale palestinese sono stati gestiti, infatti, in maniera molto personalistica, nepotistica. Si tratta, quindi, di perdere feudi di potere. Naturalmente poi ci sarà il comportamento della comunità internazionale che sarà assolutamente determinante. Servono fondi che attualmente vengono in parte dall’occidente e in parte anche dai Paesi del Golfo. Ma se si seccano queste due fonti di finanziamento, chiunque vada al potere, non riuscirà a mandare avanti tutto il sistema.

La minaccia del taglio degli aiuti umanitari

D. – Proprio la minaccia del taglio degli aiuti umanitari è quella di una recrudescenza della violenza, possono tramutarsi paradossalmente in condizioni favorevoli per il processo di pace?

R. – Assolutamente sì. Io spero che la diplomazia internazionale si metta in moto subito per evitare l’isolamento dell’Autorità Nazionale Palestinese in mano ad Hamas e per evitare che alla rabbia e alla frustrazione che hanno già portato alla vittoria del movimento islamico, si aggiunga anche una bella crociata contro il “cattivo mondo esterno”. Questo processo rafforzerebbe Hamas.

La Road map

D. – Professoressa, adesso a che punto è la “Road Map”?

R. – La “Road Map” è morta, nel senso che qui bisogna cambiare totalmente mentalità: bisogna inventare un’altra “Road Map”. Gli interlocutori dellaRoad Mapnon ci sono più e quindi serve un enorme sforzo creativo a livello politico per riavviare un processo di pace che sarà inevitabilmente nuovo.

Cruciale il dialogo interno ad Hamas

D. – Un altro dialogo deve avvenire all’interno di Hamas, ovvero tra i militanti che vivono nei Territori e quelli che si trovano all’estero. Le posizioni di queste fazioni si possono far conciliare?

R. – Hamas ha una specie di cervello pensante che si trova in Siria. In questo momento, però, pare proprio che l’Hamas dell’esterno e l’Hamas dell’interno abbiano capito entrambe che non riuscire a governare significherebbe assolutamente la sconfitta totale del movimento. Il problema è che i veri capi, quelli diciamo carismatici, sono stati eliminati da Isralele. A questo punto, diciamo che si innescherà anche una sorta di competizione interna e finalmente anche in Hamas vedremo comparire una diversità di posizioni. Adesso anche Hamas deve subire una qualche mutazione genetica. Speriamo in una direzione democratica.

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