Iraq, offensiva dell’esercito iracheno per liberare Tikrit
© Amedeo Lomonaco, Radio Vaticana ●
In Iraq è scattata una vasta offensiva condotta dall’esercito, appoggiato da combattenti sciiti e sunniti, per riconquistare Tikrit, città natale dell’ex rais Saddam Hussein e da oltre 9 mesi una delle più importanti roccaforti del sedicente Stato Islamico. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
L’Iraq schiera oltre 30 mila soldati, artiglieria pesante e aerei per liberare Tikrit. All’operazione partecipano anche combattenti filogovernativi sciiti e sunniti. Per l’esito dell’operazione è cruciale il controllo della principale via di collegamento che conduce in città. L’esercito iracheno sta avanzando anche lungo vie laterali per impedire la fuga dei miliziani dello Stato islamico che da oltre 9 mesi controllano Tikrit.
Campagna ordinata dal premier
La campagna è stata ordinata, nella notte, dal premier iracheno Haider al-Abadi che ha esortato le forze armate e le milizie alleate a garantire la sicurezza della popolazione della regione di Tikrit, dove sono forti le simpatie da parte della popolazione sunnita per lo Stato islamico. Una circostanza, questa, che ha favorito lo scorso mese di giugno la fulminea offensiva con cui i jihadisti sunniti – arrivati dal nord Iraq, dove avevano conquistato Mosul – hanno preso il controllo della città natale di Saddam Hussein.
Su questa operazione abbiamo intervistato il prof. Arduino Paniccia, docente di Studi Strategici all’Università di Trieste e direttore della scuola di competizione economica internazionale di Venezia:
R. – Sicuramente è la prima volta che l’Iraq riprende l’iniziativa nelle proprie mani con una grande offensiva di primavera per riconquistare le città perse nel giugno dello scorso anno, in particolare Tikrit e, a quanto sembra dai piani, anche Mossul. I risultati dipenderanno molto dalle capacità che dispiegheranno sul terreno, le forze riaddestrate dell’esercito iracheno che si erano praticamente squagliate nel momento in cui c’era stato l’attacco dello Stato islamico.
Esercito ricompattato
D. – Come è stato possibile ricompattare l’esercito in così breve tempo?
R. – Io esaminerei prima di tutto le motivazioni dello sfaldamento: è un risultato di quasi di una decina di anni di pessima gestione dal premier Al Maliki e della messa ai margini e al bando di tutto quanto era sunnita; naturalmente questo giustificato dal terribile periodo attraversato dagli sciiti sotto Saddam, ma assolutamente poco strategico e poco utile per il Paese stesso. Le forze della coalizione e i consiglieri hanno sicuramente, in questi mesi, svolto un ottimo lavoro ma direi che il lavoro più grande per rianimare quelle che sono oggi le migliori truppe di élite dell’esercito iracheno che si stanno rischierando, è stato svolto dai terroristi stessi.
Ferocia dello Stato islamico
La loro ferocia e la loro disumanità hanno portato molte tribù, non solo le tribù sciite, da sempre contro di loro, e i curdi, ma anche molte delle tribù sunnite – delle unità di volontari sunniti, come a suo tempo riuscì a ottenere il generale Petraeus – a fianco del rinnovato esercito iracheno e a fianco della coalizione. Forse questo è stato l’elemento più determinante: la ferocia, la disumanità e lo spavento che ha provocato lo Stato islamico nelle terre che ha occupato.
Nuovi equilibri
D. – Anche perché l’Is lo scorso mese di giugno ha conquistato Tikrit proprio perché aveva anche la simpatia di gran parte della popolazione sunnita. Adesso gli equilibri sembrano cambiati…
R. – Gli equilibri sono sicuramente cambiati. Quello che non deve mai mancare, ed è fondamentale, è l’appoggio poi delle popolazioni. Si può fare anche un’offensiva da manuale ma se la popolazione resta legata allo Stato islamico e resta legata ai terroristi, alla fine si ottiene poco: non appena le forze militari si ritirano, immediatamente i risultati tendono a svanire. In questo caso, l’offensiva invece probabilmente avrà successo – ripeto – perché quello che in questi mesi è riuscito a fare lo Stato islamico è stato terribile e ha colpito anche i sunniti ex-appartenenti all’esercito di Saddam, le tribù sunnite che in questi anni hanno mal digerito l’incapacità del governo iracheno di andare verso un federalismo, di riportare benessere… Comunque, tutto questo è niente in confronto a quello che li aspetta quando cadono sotto il comando dello Stato islamico.
Il ruolo dei peshmerga
D. – Un altro elemento cruciale è anche quello del ruolo dei peshmerga curdi che hanno interrotto nei giorni scorsi la principale via di collegamento tra i territori siriani e iracheni dello Stato islamico…
R. – Il ruolo curdo, spesso sottovalutato, è stato invece un ruolo molto importante nel contenimento prima e ora nel sostegno al contrattacco nei confronti dell’Is. Di questo si dovrà tenere conto nei futuri assetti e nei futuri equilibri di quell’area. I curdi si sono conquistati sul campo il diritto se non all’indipendenza – perché questo dipenderà naturalmente dal tavolo negoziale, che probabilmente si presenterà non appena sarà completata questa grande controffensiva di primavera – il diritto a sedersi al tavolo e cominciare a decidere la loro sorte. E di questo la comunità internazionale non potrà non tenere conto.