Iraq: un futuro da scrivere oltre le macerie delle guerre
Amedeo Lomonaco, il mio articolo su VaticanNews Il Paese arabo, meta del viaggio apostolico di Papa Francesco in programma dal 5 all’8 marzo prossimi, è una terra dove la vita del popolo, portatore di uno straordinario patrimonio non solo culturale, è stata stravolta da un susseguirsi di laceranti e dolorosi conflitti.
Quella irachena è una storia legata ai popoli della Mesopotamia, ai Persiani, agli Arabi, ai Mongoli, all’Impero ottomano. E alla presenza dei cristiani che, nel territorio dell’attuale Iraq, trae origine dalla predicazione di san Tommaso apostolo, giunto in Mesopotamia dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme nel 70 dopo Cristo. Una storia plurisecolare segnata da conquiste, invasioni e guerre.
Dai popoli della Mesopotamia al regime di Saddam Hussein
Le radici dell’Iraq sono unite alla Mesopotamia, ad antiche civiltà. Tra il quarto millennio e il sesto secolo avanti Cristo il suo territorio è abitato dai Sumeri, dagli Accadi, dagli Assiri e dai Babilonesi. Il dominio dei Persiani e quello del conquistatore macedone Alessandro Magno, nel quarto secolo avanti Cristo, precedono un periodo turbolento: il controllo del territorio dell’odierno Iraq è conteso, nel secondo e nel terzo secolo, dalla popolazione dei Parti e dall’Impero romano. Nel settimo secolo dopo Cristo la storia dell’attuale Iraq è legata all’espansione islamica e alla conquista degli Arabi. Nell’ottavo secolo Baghdad diventa la capitale del califfato degli Abbasidi. La dinastia abbaside termina poi nel tredicesimo secolo con l’invasione dei Mongoli. Nel xvi secolo i Turchi guidati dal sultano Solimano il Magnifico conquistano Baghdad e il territorio iracheno confluisce nell’Impero ottomano. I secoli successivi sono segnati dalle incursioni dei Beduini e dal parziale dominio di altre potenze, tra cui quelle dei Persiani e dei Mamelucchi.
Dopo il primo conflitto mondiale e la sconfitta dell’Impero ottomano, comincia un periodo in cui il territorio dell’attuale Iraq è posto sotto il controllo dell’amministrazione britannica. Nel 1921, l’Iraq diventa una monarchia costituzionale. Nel 1958, con un colpo di Stato, il generale Abd al-Karīm Qāsim proclama la Repubblica. Pochi anni dopo, nel 1963, un nuovo colpo di Stato porta al potere il partito Baath che si ispira ai principi del socialismo. Dal 1968 l’Iraq viene governato da Ahmed Hassan al-Bakr e dal 1979 da Saddam Hussein, nato nel 1937 in un villaggio nel distretto di Tikrit e appartenente alla minoranza sunnita. Sale al potere utilizzando come slogan l’espressione panarabismo, per intendere un processo che metta insieme tutti i popoli arabi. Gli anni Settanta sono anche quelli in cui le ingenti ricchezze legate al petrolio assumono, sullo scacchiere internazionale, una rilevanza non solo economica ma anche politica.
La guerra tra Iran e Iraq
Poco dopo la presa del potere da parte di Saddam Hussein ha inizio, nel 1980, un sanguinoso conflitto tra l’Iraq e uno Stato non arabo, l’Iran. Quest’ultimo Paese, dopo la rivoluzione contro lo scià Mohammad Reza Pahlavi guidata dal religioso sciita Ruhollah Khomeini, ha un esercito ridimensionato per capacità e armamenti rispetto a quello degli anni precedenti. Nei piani elaborati dai generali iracheni, il conflitto sarebbe durato pochi giorni. Ma il 22 settembre 1980 scoppia una guerra che durerà 8 anni. Saddam Hussein ordina alle truppe irachene di varcare il confine e di invadere il territorio del Khuzestan, una regione iraniana ricca di giacimenti petroliferi e abitata anche da etnie di origine araba. La scintilla che innesca il conflitto è legata alla questione del diritto di navigazione di un fiume, chiamato Shatt al Arab dagli iracheni e Arvand dagli iraniani. Formato dalla confluenza del Tigri e dell’Eufrate, sfocia nel Golfo Persico. L’esercito iracheno è meglio equipaggiato di quello iraniano, che però può contare su un maggior numero di soldati. La popolazione civile non è risparmiata dalle atrocità della guerra. A partire dal 1984, varie città iraniane e irachene subiscono bombardamenti sempre più pesanti. Nell’agosto 1988 i due Paesi, con sistemi economici in gran parte compromessi a causa delle spese sostenute per finanziare la guerra, firmano il cessate-il-fuoco. È l’epilogo di un conflitto costato la vita, secondo varie fonti, ad almeno un milione di persone.
Prima guerra del Golfo
Dopo quella del 1980, un’altra estate è il preludio di un ulteriore e drammatico capitolo della storia irachena. È il mese di agosto del 1990. Sono trascorsi due anni dalla fine della guerra tra Iraq e Iran. Il mondo geopolitico, dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989, è in rapida trasformazione. In questo delicato scenario la fine degli anni ‘80 fa registrare in Iraq l’aumento delle tensioni politiche, una crescente povertà e una disoccupazione galoppante. Tra i costi della guerra contro l’Iran ci sono anche i debiti contratti con altri Paesi del Golfo, tra cui il Kuwait, per oltre 70 miliardi di dollari. Il Paese è sull’orlo della bancarotta. Saddam Hussein, rivolgendosi alla Lega Araba, invoca la cancellazione del debito affermando che il suo Paese ha combattuto contro l’Iran, definito una minaccia per gli Stati della regione. Accusa inoltre il Kuwait di aver estratto illegalmente petrolio dai pozzi lungo il confine. E sostiene che Emirati Arabi e Kuwait superano deliberatamente i tetti di estrazione del greggio al fine di danneggiare economicamente l’Iraq. Pochi giorni dopo queste dichiarazioni, 100 mila soldati iracheni sono già dislocati alla frontiera. Sono pronti ad invadere il Kuwait, un piccolo Stato che possiede il 20% dei giacimenti petroliferi mondiali. Il 2 agosto del 1990 le truppe irachene varcano il confine.
Comincia il primo conflitto in diretta televisiva. Le immagini dei cittadini del Kuwait in fuga, e quelle successive di altri drammatici momenti della guerra come i pozzi petroliferi dati alle fiamme dalle truppe irachene, fanno il giro del mondo. L’Onu adotta immediatamente due risoluzioni. Con la prima chiede il ritiro dei soldati iracheni. Nella seconda autorizza l’embargo del commercio con l’Iraq. A novembre il governo di Baghdad riceve un ultimatum dalle Nazioni Unite: se entro il 15 gennaio le truppe irachene non lasceranno il Kuwait, scatterà un’offensiva. Nella notte tra il 16 e il 17 gennaio comincia un’operazione militare condotta da forze di una coalizione guidata dagli Stati Uniti. Prima bombardamenti aerei e poi l’intervento di truppe di terra piegano la resistenza dell’esercito iracheno. Il Kuwait viene liberato. Il conflitto termina il 28 febbraio del 1991. Il presidente americano George H. W. Bush, dichiara che sono stati raggiunti gli obiettivi delle forze alleate: Saddam Hussein accetta il cessate-il-fuoco senza condizioni. Le Nazioni Unite confermano le sanzioni economiche. Ma il regime di Saddam Hussein non viene rovesciato.
Tra due guerre
Subito dopo la fine della prima guerra del Golfo viene confermato l’embargo economico. Successivamente viene istituito dall’Onu il programma Oil for food per consentire all’Iraq di vendere petrolio in cambio di generi alimentari. Per la popolazione civile è un periodo di grandi sofferenze. Secondo un rapporto dell’Unicef pubblicato nel 1998 ogni mese in Iraq muoiono quattromila bambini come conseguenza delle sanzioni economiche. Le medicine, così come i vaccini, arrivano in maniera molto sporadica e discontinua. Nel policlinico universitario di Baghdad, il più grande e attrezzato ospedale del Paese, mancano infrastrutture basilari. Dopo l’attacco terroristico compiuto l’11 settembre del 2001 negli Stati Uniti, lo scenario diventa ancora più complesso. Il governo statunitense accusa il regime iracheno di produrre armi di distruzione di massa e di collaborare con l’organizzazione terroristica Al Qaeda. Accuse che, in seguito, non troveranno riscontri. Le autorità statunitensi riveleranno infatti che non c’era una prova formale della cooperazione tra il governo iracheno e gruppi fondamentalisti di matrice islamica. Gli ispettori dell’Onu confermeranno inoltre che non erano state trovate armi di distruzione di massa. Ma nel 2003 si apre, comunque, un nuovo conflitto. Ancora una volta riecheggia in Iraq il tragico rumore delle armi.
Seconda guerra del Golfo
È il 20 marzo 2003. All’alba prende il via la seconda guerra del Golfo. Le prime truppe statunitensi di terra arrivano nel territorio iracheno dal Kuwait. Alle operazioni belliche prendono parte circa 150.000 soldati statunitensi e militari di altri Paesi. La coalizione internazionale, guidata dagli Stati Uniti, sconfigge, in poco più di un mese, la resistenza irachena. Le operazioni militari legate alla seconda guerra del Golfo vengono ufficialmente considerate concluse il primo maggio del 2003. Il partito Baath viene bandito. Saddam Hussein fugge da Baghdad e a dicembre viene catturato in un rifugio sotterraneo in un villaggio non lontano dalla sua città natale, Tikrit. In seguito viene condannato a morte da un tribunale iracheno, creato ad hoc, per crimini di guerra e contro l’umanità. Tra i drammatici eventi al centro del processo, anche il massacro di 148 sciiti nella città di Dujail, avvenuto nel 1982. La sentenza viene eseguita il 30 dicembre del 2006. All’indomani della seconda guerra del Golfo, si apre in Iraq un’altra drammatica pagina.
Nascita del sedicente Stato islamico
Dopo la fine del regime di Saddam Hussein, l’Iraq è dilaniato da una lunga serie di attentati e violenze. La guerriglia si rafforza e continui scontri tra gruppi sciiti e sunniti rendono il Paese ancora più instabile. In questo scenario, crescono organizzazioni che sostengono l’islamismo radicale. Il 29 giugno del 2014 Abu Bakr al-Baghdadi proclama dalla moschea di al Nuri, a Mosul, la nascita di un califfato in un territorio che comprende la Siria nord orientale e la regione occidentale dell’Iraq: subito dopo la creazione di questo Stato, sono milioni le persone che vivono sotto il controllo dei miliziani di al-Baghdadi. Viene imposta la legge islamica, la sharia. Alcune minoranze, tra cui quella degli Yazidi, vengono perseguitate. La capitale di fatto dello Stato islamico, che controlla anche alcuni pozzi petroliferi, è la città di Raqqa, nel nord della Siria. I suoi miliziani e seguaci compiono anche drammatici attentati all’estero, in Occidente. Tra questi, gli attacchi terroristici che il 13 novembre del 2015 hanno sconvolto Parigi provocando la morte di 137 persone.
Proprio a partire dal 2015, lo Stato islamico comincia a perdere terreno. In Iraq in particolare, le offensive dell’esercito iracheno e i radi aerei americani portano alla riconquista di diverse città, tra cui Tikrit, Ramadi e Falluja. Il 9 dicembre 2017 il premier iracheno al-Abadi dichiara ufficialmente vinta la guerra contro i miliziani del sedicente Stato islamico.
In attesa di Francesco
L’Iraq che attende Papa Francesco è un Paese ancora profondamente ferito dalle guerre che hanno funestato la sua storia recente. Il Paese resta tra i primi Stati, a livello mondiale, per riserve di petrolio. Ma gran parte degli oltre 40 milioni di abitanti vive in povertà nonostante queste ingenti ricchezze. Dal 7 maggio del 2020 il premier iracheno è Mustafa Al Kadhimi. Il primo ministro ha rimarcato più volte la pluralità culturale e religiosa dell’Iraq. “Noi iracheni — ha dichiarato nei giorni scorsi il premier le cui parole sono state riprese dall’agenzia Fides — siamo forti nella nostra pluralità e rimarremo come simbolo di coesistenza, tolleranza e vera cittadinanza, nonostante tutte le insidie dei gruppi oscuri che hanno fallito nei loro progetti di distruzione del nostro stupendo Paese”. “La presenza delle comunità cristiane autoctone in Iraq fin dai tempi apostolici — ha inoltre sottolineato il premier Al Kadhimi — conferma la capacità di apertura che connota le civilizzazioni succedutesi fin dai tempi antichi nello spazio territoriale della Mesopotamia”.