Dall’Osservatore Romano del 20 febbraio 2021, pagina 11
È il 21 febbraio del 2001. Papa Giovanni Paolo II , nell’omelia in occasione del Concistoro ordinario pubblico, sottolinea che è un giorno speciale: «Oggi è festa grande per la Chiesa universale, che si arricchisce di quarantaquattro cardinali». Tra i nuovi porporati c’è anche l’allora arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio, che verrà eletto Sommo Pontefice il 13 marzo del 2013. «La Roma “cattolica” — aggiunge Papa Wojtyła pronunciando parole già proiettate nel futuro — si stringe attorno ai nuovi cardinali in un abbraccio caloroso, nella consapevolezza che si sta scrivendo un’altra pagina significativa della sua storia bimillenaria».
Una Chiesa che apre le porte
Quella di 20 anni fa è una data lontana, ma ancora attuale. «Il mondo — afferma Giovanni Paolo II durante il Concistoro del 2001, il più numeroso della storia della Chiesa — si fa sempre più complesso e mutevole». Quel mondo, come quello di oggi scosso dalla pandemia e da una dilagante cultura dello scarto più volte denunciata da Papa Francesco, è bisognoso di amore. «Ha sete di un cuore — scrive l’arcivescovo di Buenos Aires nel messaggio del 28 marzo del 2001 rivolto alle Comunità educative — che accoglie, che apre le porte». Ha sete di una «guarigione della persona umana attraverso l’amore ospitale».
Un cuore che accoglie
Quando nel 1998 è nominato arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio sceglie di abitare in un appartamento e di prepararsi la cena da solo. «La mia gente — ha detto una volta per spiegare questa decisione — è povera e io sono uno di loro». E pensa a un programma missionario incentrato sulla comunione e sull’evangelizzazione. Negli anni in cui è arcivescovo di Buenos Aires, è un pastore molto amato nella sua diocesi, che gira in lungo e in largo, anche in metropolitana e con gli autobus. Prima di partire per Roma, in vista del Concistoro del 21 febbraio 2001, non compra un abito nuovo, ma fa sistemare quello del suo predecessore, Antonio Quarracino, morto del 1998. Papa Giovanni Paolo II gli affida il titolo cardinalizio della chiesa romana di San Roberto Bellarmino, il santo gesuita e dottore della Chiesa.
Da Buenos Aires a Roma
Navigando tra omelie e discorsi pronunciati dal cardinale Jorge Mario Bergoglio, si incrociano temi e riflessioni al centro anche del Pontificato. Nella veglia pasquale del 15 aprile del 2001, l’arcivescovo di Buenos Aires sottolinea che «viviamo in una situazione in cui abbiamo bisogno di molta memoria». Si deve «ricordare, portare nel cuore la grande riserva spirituale del nostro popolo». Parole che si legano all’invito, più volte espresso durante il Pontificato, a rinsaldare il senso di «appartenenza al popolo», ad «avere memoria del popolo di Dio». In una lettera del 2002 indirizzata ai catechisti, il cardinale Bergoglio cita il santo che sarà una fonte di ispirazione per il suo Pontificato. «Adorare — scrive nella lettera — è scoprire che siamo figli dello stesso Padre». «È come ha scoperto San Francesco: cantare le lodi uniti a tutta la creazione e a tutti gli uomini».
Inclusione o l’esclusione
Nel 2003, in occasione della celebrazione del Te Deum, l’allora primate d’Argentina sottolinea che siamo chiamati a rifiutare quella che in più occasioni, come Pontefice, definirà «cultura dello scarto». L’inclusione o l’esclusione dei più fragili, afferma il 25 maggio di quell’anno, «definisce tutti i progetti economici, politici, sociali e religiosi. Ogni giorno tutti noi affrontiamo la scelta di essere buoni samaritani o viaggiatori indifferenti che passano». Custodire è uno dei verbi con cui si può declinare il Pontificato di Papa Francesco. Il 25 marzo del 2004, giorno in cui si celebra la Giornata del bambino non nato, l’arcivescovo di Buenos Aires esprime la speranza che la Vergine Maria «faccia crescere nei nostri cuori atteggiamenti di tenerezza, speranza e pazienza per custodire ogni vita umana, specialmente la più fragile, la meno capace di difendersi».
La via della fratellanza
Tra le piaghe che Bergoglio denuncia più volte come cardinale, e in seguito come Papa, ci sono quelle della povertà e delle ingiustizie. Nel 2007, intervenendo alla Conferenza di Aparecida, denuncia squilibri sempre più profondi: «Questa globalizzazione come ideologia economica e sociale — afferma — ha colpito negativamente i nostri settori più poveri». «Il potente mangia il più debole». Nel 2008, riflettendo sul tema «Cultura e religiosità popolare», l’arcivescovo di Buenos Aires sottolinea che avanza «una cultura di morte». Una cultura che porta a un aumento della povertà e a una concentrazione delle ricchezze. Ma anche a fenomeni sempre più preoccupanti di inquinamento ambientale, come si ricorda nell’enciclica Laudato si’. Un altro tratto distintivo del Pontificato di Papa Francesco si lega al concetto di fratellanza, al centro dell’enciclica Fratelli tutti: «La fratellanza nell’amore come l’ha vissuta Gesù — afferma il cardinale Bergoglio il 25 maggio del 2011 nella celebrazione per il Te Deum — ci allevia, rende morbido il giogo. Dio non si stanca di perdonare».
L’ultima omelia come cardinale
Prima di partire per Roma, per il conclave del 2013, l’arcivescovo di Buenos Aires prepara un’omelia che intende pronunciare il 28 marzo, in occasione della messa crismale. Ma il 13 marzo di quell’anno sale al soglio di Pietro. Il testo dell’omelia, non pronunciata, ruota intorno a un concetto fondamentale: la missione della Chiesa nelle periferie. È in questi luoghi — si legge nel testo — «che dobbiamo uscire per sperimentare la potenza del Signore». La via indicata è dunque quella di una Chiesa in uscita. E quella di «un cammino di fratellanza». Come Papa Francesco ricorda il 13 marzo del 2013 nel suo primo saluto come Pontefice: «Adesso, incominciamo questo cammino: vescovo e popolo. Questo cammino della Chiesa di Roma, che è quella che presiede nella carità tutte le Chiese. Un cammino di fratellanza, di amore, di fiducia tra noi».
di Amedeo Lomonaco