Sulle orme di Santo Stefano
© Amedeo Lomonaco, Radio Vaticana ●
Nella festa di Santo Stefano, primo martire, è bene ricordare che i cristiani ancora oggi sono la comunità più perseguitata nel mondo: si parla di 200 milioni di fedeli sottoposti ad attacchi, discriminazioni, limitazioni dei propri diritti. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
L’annuncio del Vangelo in varie parti del mondo può essere visto come una provocazione, una sfida od un procedere controcorrente. Ci sono luoghi dove questo annuncio è intimamente legato alla storia della salvezza: essere testimoni nella Terra Santa, dove la Parola è sgorgata per ogni uomo, significa percorrere un itinerario di fede spesso segnato anche da sofferenze e discriminazioni. E’ quanto sottolinea da Gerusalemme l’inviato diAvvenire, Luigi Geninazzi:
R. – Essere credenti qui, in questa terra, è una grande grazia, ma all’interno di una situazione di sofferenza che dura da parecchi anni. E’ una situazione tipica della popolazione della Terra Santa dove i cristiani, negli ultimi tempi, hanno qualche problema in più. Ci sono state anche violenze, intimidazioni contro le famiglie cristiane nella Striscia di Gaza, nella quale risiedono poco più di duemila fedeli. Tutto questo ci fa capire come in questa terra martoriata per i cristiani la situazione diventi sempre più difficile.
Testimoni in Terra Santa
D. – Quali sono i frutti ottenuti attraverso la testimonianza di quanti proclamano il Vangelo nei Luoghi Santi?
R. – La testimonianza in questa terra è sempre stata molto presente: pur essendo una comunità numericamente ridotta, ci sono tantissimi segni a livello educativo, a livello di assistenza. Pensiamo alle scuole cristiane, nelle quali tanti musulmani vengono educati: questo è un seme di speranza, per il futuro. E’ il migliore antidoto contro la tentazione del fanatismo, dell’intolleranza e della violenza da parte dell’estremismo islamico. Sono segni che convivono, purtroppo, accanto a segnali di intolleranza diventati molto duri e pesanti, fino al martirio vero e proprio, come è successo in Iraq. Ma incominciano ad avvertirsi un po’ in varie parti del Medio Oriente.
Strumentalizzazione del martirio
D. – In Medio Oriente, c’è un altro fenomeno che desta molta preoccupazione: la strumentalizzazione del martirio…
R. – Si tratta dei cosiddetti shahid – i kamikaze – di parte islamica: questo è uno dei punti cruciali dei una pratica che, per fortuna – almeno qui in Palestina e in Israele – si è interrotta. Però, è chiaro che dello shahid, colui che sacrifica la propria vita contro il nemico, si sente ancora il mito. E’ molto forte e viene incoraggiato nella Striscia di Gaza dove comanda Hamas.
Intervista con Fulvio Scaglione
In Europa, le radici cristiane sono oggi offuscate dalla secolarizzazione, da un preoccupante processo di allontanamento da Dio. Ai valori spirituali si contrappongono modelli di vita incentrati sul materialismo e sull’individualismo. Fulvio Scaglione, vicedirettore di “Famiglia cristiana”:
R. – Se guardiamo al resto del mondo, ci rendiamo conto di quanto spirito evangelico veramente ci voglia oggi e di quanto bisogno abbiamo di tenere sempre presenti i grandi valori spirituali che il Vangelo ci ha trasmesso. Altrimenti, finiamo per essere travolti da questo ritmo del benessere che è una specie di “Kronos” che mangia i propri figli. Questa nostra società del benessere – che è una grande conquista – si alimenta instillandoci un bisogno al giorno, una dipendenza quotidiana. E quindi un grande messaggio di liberazione, come quello del Vangelo, è più prezioso.
Il rischio di una dissolvenza religiosa
D. – Si deve evitare, quindi, il rischio non tanto di una mancanza di libertà religiosa, quanto di una dissolvenza religiosa. Spesso si tende in Europa a far sparire l’elemento spirituale…
R. – Da questo punto di vista, credo che il secolarismo sia certamente il pericolo che abbiamo tutti presente. Però, sono anni che i “defensores fidei” abbondano. Bisogna fare un po’ d’attenzione, usare un minimo di discernimento, perché non si possono adorare gli idoli e venerare il Crocifisso a settimane alterne. Il Vangelo ci insegna cose precise. Il Vangelo è apertura a tutti, agli altri. E questa non è un’opzione: questo è un valore ben preciso.
Martirio in Africa
L’Africa, terra di missione scossa dalla povertà e da varie forme di corruzione, richiede una costante traduzione del Vangelo nella quotidianità. Schierarsi dalla parte dei poveri significa per molti missionari esporsi ogni giorno a rischi che possono avere anche conseguenze drammatiche. Sulla testimonianza di quanti proclamano il Vangelo in Africa, l’opinione del missionario comboniano, padre Giulio Albanese:
R. – “E’ testimonianza allo stato puro. Questo significa essere al fianco dei poveri, di coloro che vivono nei cosiddetti bassifondi della storia, nelle periferie del villaggio globale. In Africa, tutto questo ha un significato particolare, soprattutto se si pensa al caro prezzo pagato dalle Chiese locali in molte circostanze. Pensiamo al Sudan meridionale, alla Repubblica Democratica del Congo, tutti scenari che ancora oggi sono infuocati”.
Il prezzo della testimonianza
“Direi che la differenza sostanziale, rispetto alla Chiesa dei primi secoli, è che oggi in molte circostanze i missionari – religiose, religiosi, sacerdoti “fidei donum”, volontari, ma anche tanti laici, sacerdoti diocesani locali – pagano il prezzo della testimonianza: innanzitutto e soprattutto, perché hanno fatto la scelta di difendere i diritti umani, di difendere la sacralità della vita umana nel suo complesso. Pagano questo prezzo perché vedono, innanzitutto e soprattutto nei poveri, l’immagine del Cristo Crocifisso: i poveri che sono davvero l’icona di Cristo nella società contemporanea”.
Storie emblematiche
D. – Qualche storia emblematica sul senso del martirio in Africa…
R. – Testimonianze più emblematiche ci vengono proprio da quelle realtà che sono una sorta di linea di faglia tra gli opposti schieramenti. Penso a tanti missionari che, per esempio, in un contesto come è quello dell’ex Zaire – il settore orientale della Repubblica Democratica del Congo – hanno fatto la scelta di rimanere. Mi vengono in mente, per esempio, i Missionari Saveriani, ma anche di altri Istituti che hanno deciso di rimanere al fianco della gente proprio perché di fatto la Chiesa è l’unica realtà, l’unica istituzione che li sostiene.
Martiri in America Latina
Anche in America Latina, proclamare il Vangelo può portare alla persecuzione e al martirio. E un altro dramma, sempre più frequente, è quello della violenza comune che colpisce diversi missionari, vittime di rapine e agguati. Il giornalista cileno della nostra emittente, Luis Badilla:
R. – Purtroppo, in l’America Latina nel 2009 ancora una volta la situazione, per quanto riguarda la vita dei missionari, è sempre critica. L’America Latina continua ad essere quella parte della Chiesa, quel territorio missionario dove più è pericoloso proclamare il Vangelo.
Cause delle violenze
D. – Quali sono le cause di queste violenze?
R. – “Questi missionari sono vittime – o sono stati vittime – o della violenza anti-religiosa, per la stragrande maggioranza, oppure della violenza comune, delinquenziale. Molti di questi sacerdoti hanno perso la vita per ciò che dicevano, per quello che proclamavano come pastori nelle loro chiese, all’interno delle comunità, nei loro Paesi, nel loro territorio di missione. Altri sono stati uccisi come un qualsiasi cittadino. Sono stati vittime della violenza comune che in America Latina negli ultimi anni è molto aumentata”.
Odio alla fede e violenza comune
“Dobbiamo quindi distinguere in questo senso: da una parte, evidentemente c’è un odio alla fede, alla religione, alla Chiesa cattolica e al suo magistero e, soprattutto, ai suoi pastori. D’altra parte, anche i sacerdoti spesso subiscono le conseguenze della violenza comune, dei furti, degli agguati. Anche questo purtroppo fa parte della vita della Chiesa. E’ doloroso tanto quanto la violenza anti-religiosa”.
Martiri in Asia
In Asia, infine, la mappa del martirio e della persecuzione contro i cristiani è alimentata soprattutto dalla mancanza di libertà religiosa e dal fondamentalismo. Padre Bernardo Cervellera, direttore di AsiaNews:
R. – Si può dire che più di due terzi – credo – dei Paesi dell’Asia soffrano di mancanza di libertà religiosa. I cristiani ne fanno le spese. Ci sono degli Stati che limitano la libertà religiosa per legge. Ci sono casi come la Cina, il Vietnam, la Corea del Nord e ci sono invece aree dove, anche se ci sono Stati che riconoscono o garantiscono la libertà religiosa, c’è però una pressione sociale anticristiana. Per esempio, l’India, il Pakistan, l’Indonesia… E poi ci sono tutti i Paesi musulmani nei quali, effettivamente, c’è grande difficoltà da parte dei cristiani, perché ci sono sia leggi che limitano l’espressione religiosa, sia una mentalità diffusa se non di odio, di emarginazione verso i cristiani.
Figure di martiri
D. – Ricordando alcune straordinarie figure di martiri in Asia del nostro tempo, quale eredità ci hanno lasciato?
R. – Io ho incontrato un sacerdote che era stato condannato per 30 anni ai lavori forzati e quando è stato liberato, pur essendo anziano, ha continuato a fare catechismo nei villaggi del Guandong, nel Sud della Cina. Ha continuato la sua missione portando la sua gioia: una gioia della fede che è più forte delle sofferenze che aveva vissuto. La stessa cosa mi è capitato di vedere con alcuni cristiani indiani che sono stati torturati dai fondamentalisti indù in Orissa. Anche per loro la gioia e la voglia di fare missione è più grande anche del martirio che hanno subito. La vittoria di Cristo passa anche attraverso il martirio. E’ più forte e produce molto più frutto che non l’odio di cui si è oggetto.